“La rivoluzione digitale è uno strumento decisivo per stimolare la crescita e il potenziale innovativo del Paese, consentendo all’Italia di competere nei mercati internazionali. È un obiettivo cui il governo dovrà puntare come scelta prioritaria e strategica”: lo dice il premier uscente Mario Monti in un’intervista al nostro sito in cui si approfondisce alcune delle tematiche affrontate in un articolo a sua firma pubblicato sull’ultimo numero del Corriere delle Comunicazioni.
Per quali ragioni?
Le società sono plasmate dalla tecnologia. Come ho ricordato in un video su Facebook, già da quando ero Commissario Europeo alla Concorrenza mi sono occupato delle nuove tecnologie dando una forte impronta nel senso dell’apertura. L’indagine su Microsoft riguardante ostacoli all’interoperabilità (poi sfociata in una multa di 497 milioni di euro) ha influenzato notevolmente la giurisprudenza in materia di concorrenza relativa all’internet economy. Inoltre, in un rapporto del 2010 che ho curato per il Presidente Barroso ho dedicato grande spazio alla Digital Agenda. Infine, nella recente attività di Governo abbiamo lanciato l’Agenda Digitale per l’Italia, per anni trascurata dai governi precedenti nonostante una pressante richiesta dalla società civile. È importante continuare il lavoro svolto dal governo Monti per la digitalizzazione della pubblica amministrazione rafforzandolo in particolare lungo gli assi delle connessioni infrastrutturali a banda larga e ultra larga, delle smart communities/smart cities, dell’open data, del cloud computing e dell’e-government. Sono personalmente convinto dell’assoluta centralità di questo argomento, e non è un caso che nelle nostre liste – mi sembra unici – abbiamo candidato personalità di riferimento in questo mondo.
È d’accordo che tali temi vadano affrontati con un’impostazione organica e non più frammentata come spesso in passato?
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione non sono un settore a sé ma una tecnologia abilitante che produce profondi impatti su tutta la società e l’economia, una “general purpose technology”, come dicono gli economisti, al pari della macchina a vapore o dell’elettricità. Pertanto, sono una materia che deve essere approcciata in modo ampio e organico, evitando provvedimenti episodici e isolati. Allo stesso modo, si deve essere ben consapevoli che stanno cambiando e cambieranno la nostra società. Guidare, assecondare, incentivare e rendere inclusivo questo cambiamento è una delle chiavi per ritornare a essere un’economia in crescita. In questo ambito subiamo un colpevole ritardo dovuto a una precedente mancanza di focalizzazione e all’inazione, un gap che abbiamo iniziato a recuperare con una impostazione organica iniziata proprio con la costituzione della Agenzia Digitale.
L’Agenzia Digitale vigilata da 5 ministeri , le appare uno strumento adeguato per supportare una politica organica?
Desidero ricordare che prima del varo dell’Agenzia Digitale da parte del mio Governo, le competenze erano frammentate e distribuite tra più organismi. L’Agenzia Digitale è un primo passo nella direzione di centralizzazione delle competenze e delle responsabilità, non certamente l’ultimo, ed è lo strumento su cui fare perno per un processo di trasformazione della PA che, pur trovando delle resistenze, è inevitabile.
Non sarebbe più opportuno che la responsabilità dell’Agenda Digitale venga attribuita direttamente alla Presidenza del Consiglio con il compito di stimolo e di regia?
Non vi è dubbio che l’attenzione debba essere grande e riportata ad un ruolo di primo piano in seno al nuovo Governo. Quella della Presidenza del Consiglio è certamente una delle opzioni disponibili. Un’altra opzione possibile è quella di assegnarne la responsabilità specifica ad un futuro membro del Consiglio dei Ministri.
In passato resistenze, lentezze, gelosie, frizioni fra singoli ministeri e fra amministrazioni territoriali hanno bloccato importanti riforme.
Fermo restando che il coordinamento con i Ministeri è indispensabile al fine di garantire un approccio organico, questo tema, come anche altri, dovrà essere parte della più ampia riforma delle autonomie locali che abbiamo in programma di portare avanti. Il modello attuale non funziona bene: ha costi e vantaggi che non sono bilanciati con le esigenze reali della gente comune.
L’Agenda Digitale è rimasta senza decreti attuativi. Sarà una delle prime iniziative del nuovo governo per dare gambe a un progetto per ora solo sulla carta?
L’attuazione delle riforme riceve in Italia poco attenzione rispetto a quella dedicata alla preparazione di nuove iniziative legislative. Abbiamo misurato in questi mesi come sia necessaria una costante pressione perché le riforme siano rapidamente e puntualmente attuate con gli atti secondari necessari. Il caso dell’Agenzia dimostra quanto importante sia dare continuità dell’azione di riforma, per non vanificare il lavoro fatto. È necessario che il prossimo Governo nei primi cento giorni adotti i decreti attuativi relativi all’Agenda Digitale perché possiamo rapidamente cogliere i frutti di questa importante innovazione.
Pensa di definire un cronoprogramma per monitorare la realizzazione degli obiettivi, tra cui lo switch-off digitale dei servizi resi dalla PA?
All’interno della Pubblica Amministrazione vari processi sono già stati ridisegnati in modo digitale. Anche per quanto riguarda i cittadini, alcune funzioni sono state oggetto di misure per accelerare la digitalizzazione, ad esempio per ottenere certificati o procedure anagrafiche o per pagare servizi come i ticket sanitari; alcune sono state oggetto di switch-over digitale e per altre abbiamo già fissato le scadenze (ricordo ad esempio l’iscrizione scolastica o le ricette mediche).
A quando lo switch-over totale?
In campagna elettorale è facile promettere uno switch-over digitale di tutta la burocrazia ma, come i lettori di questo giornale sanno bene, i processi e servizi digitalizzabili sono numerosissimi e richiedono tempi congrui anche per il coinvolgimento delle amministrazioni locali. Non dimentichiamo che l’introduzione di una General Purpose Technology richiede la predisposizione di infrastrutture materiali ed immateriali, l’aggiornamento professionale e la divulgazione presso i cittadini. Per questo è necessario definire un programma credibile di priorità di intervento, focalizzato sui risultati di maggiore efficienza e strategicità in termini di risorse dispiegabili e risultati, monitorandone l’attuazione ai massimi livelli.
Il cloud computing è tecnologia matura: consente di consolidare la miriade di costosi datacenter pubblici e di creare le condizioni per open government e standardizzazione dei servizi.
Il Cloud Computing e la banda larga sono due infrastrutture sinergiche per la realizzazione dell’Open Government e la diffusione di servizi digitali per rendere le nostre città delle smart cities. Già nell’Agenda Monti (http://is.gd/AgendaMonti ) ho posto il tema come prioritario, indicando che occorre continuare il lavoro avviato e rafforzarlo per quanto riguarda infrastrutture a banda larga ed ultralarga nonché la diffusione del cloud computing, proprio per lo sviluppo di smart communities, smart cities ed open government (e-government e Open Data) cui ho accennato prima.
Uno studio del Politecnico di Milano mostra che la PA risparmierebbe 7 miliardi l’anno passando dall’attuale 5% al 30% di e.procurement. Che effetto le fa?
Un forte effetto. È la dimostrazione che la via digitale aiuta a semplificare l’amministrazione, a rompere le barriere con i cittadini ed anche di conseguire significativi risparmi di spesa.
Che non bastano a finanziare tutti i progetti, a partire dalle reti ultrabroadband.
Per molte iniziative a carattere infrastrutturale sono disponibili ingenti fonti di finanziamento europeo che non vengono adeguatamente sfruttate. La rinnovata credibilità a livello europeo ci consente di avere un ruolo rilevante là dove questi finanziamenti vengono decisi e la credibilità internazionale sta già mostrando una inversione di tendenza con l’attrazione di capitali di investimento stranieri. Anche questo è solo un inizio, non dobbiamo tornare indietro e vanificare gli sforzi che abbiamo dovuto chiedere ai cittadini per scongiurare una crisi e per invertire la precedente tendenza recuperando un flusso di investimenti verso il nostro Paese. Il caso dell’infrastruttura per la banda ultralarga è per certi punti di vista emblematico. La disponibilità di fondi da investire è già stata manifestata da operatori internazionali così come dalla Cassa Depositi e Prestiti. Occorre intervenire con decisione per sbloccare lo stallo in cui ci troviamo e ridare slancio ad un settore ed al suo indotto che sono centrali per l’occupazione rivolta al futuro e per l’ammodernamento del Paese.
Andrebbe trattata con l’Unione Europea una “golden rule” per svincolare dal fiscal compact gli investimenti in innovazione?
È un tema per cui mi batto da anni. Ritengo che non si possa trattare la spesa corrente per la pubblica amministrazione allo stesso modo della spesa per investimenti produttivi, che creano crescita futura. Ho rilanciato questo tema fin dal febbraio scorso, perché ritengo sia un necessario arricchimento delle regole di disciplina delle finanze pubbliche decise con il Fiscal Compact. La qualità della spesa pubblica è un tema che anche per l’insistenza italiana è entrato di diritto nell’agenda di politica economica europea. Vedrei con favore che investimenti per nuove tecnologie, come gli investimenti per il broadband o l’agenda digitale o le infrastrutture per l’energia venissero valutati per il loro impatto sulla crescita quando si esaminano i conti pubblici di uno Stato membro e il suo percorso verso obiettivi di bilancio a medio termine. Una sorta di temporanea “mini golden rule” sotto il controllo dell’Europa.
E la disciplina di bilancio?
In questa ipotesi non c’è proprio niente di elusivo della disciplina di bilancio. Certamente per perseguire questa opportunità in Europa, è necessaria una credibilità ed una fermezza, che credo di avere già ampiamente dimostrato quando, a fine giugno 2012, ho posto per l’Italia, unico paese su 27, un veto alle decisioni del Consiglio che ha consentito alla BCE di varare lo scudo antispread, in opposizione alle posizioni sostenute dalla Germania e altri paesi suoi “alleati”.
Senza semplificazione normativa e snellimento delle procedure burocratiche difficilmente si realizzeranno gli obiettivi previsti.
Sono d’accordo. Semplificazione e abbattimento della selva di norme e procedure che bloccano lo sviluppo sono priorità. Per questo sono temi centrali nell’Agenda Monti.
Come vede l’ipotesi di scorporo della rete di accesso di Telecom Italia con un massiccio intervento della cassa Depositi e Prestiti?
Come ho detto in precedenza, vi è già la concreta manifestazione di disponibilità all’investimento in reti di nuova generazione da parte di operatori internazionali e della stessa Cassa Depositi e Prestiti. Telecom Italia non può certamente essere forzata in questa direzione, ma è prioritario definire un percorso condiviso che consideri adeguatamente i vincoli attuali e i benefici a medio e lungo periodo per il Paese.
Cosa fare per incrementare la diffusione e l’uso di Internet dove siamo ancora indietro nelle classifiche europee?
La diffusione di Internet in Italia soffre di vari livelli di divario digitale. Il primo è quello di cui si parla maggiormente ed è quello infrastrutturale. Vi sono ancora parti del Paese in cui la banda larga non arriva o arriva in misura non sufficiente per soddisfare la domanda. In realtà questo fenomeno, che esiste, è tuttavia inferiore al percepito. I censimenti che vengono considerati, spesso non tengono in debita considerazione le infrastrutture di accesso wireless esistenti e ignorate dai clienti che conoscono solo le possibilità offerte dall’ADSL. È opportuno effettuare un censimento estensivo e pubblicare questi dati come servizio al pubblico, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con l’Autorità per le Comunicazioni. Questo non solo per assistere la clientela, ma anche per consentire di indirizzare meglio i limitati fondi disponibili alle aree ove effettivamente vi è assenza di disponibilità.
C’è poi il divario digitale culturale.
Indubbiamente vi sono anche i divari digitali di natura economico e culturale, che in qualche misura sono legati. In proposito, intendiamo investire nella creazione di un corpo di alfabetizzatori digitali volontari – regolato da norme simili a quelle per il servizio civile – per aumentare la conoscenza delle nuove tecnologie, con una particolare attenzione agli anziani. Ricordo che In Italia metà della popolazione usa Internet in modo maggiore di quanto avviene mediamente in Europa ed un’altra metà non ne percepisce l’utilità, con ricadute indirette sulle PMI e sull’occupazione giovanile.
Pensa che la Rai abbia un ruolo da svolgere per la diffusione della cultura digitale?
La televisione è ancora un media preponderante nello scenario italiano, anche in termini di allocazione delle risorse economiche. In passato, il compianto maestro Manzi ha contribuito in modo determinante a combattere l’analfabetismo in Italia. Oggi, il servizio pubblico della RAI non può esimersi dalla responsabilità di combattere l’analfabetismo digitale e questo punto è già stato al centro di mie conversazioni con gli attuali vertici dell’azienda. Il Contratto di Servizio è lo strumento in cui incardinare questa missione. Il contesto è tuttavia molto differente e contenitori specifici potrebbero non bastare. Pertanto, in generale, sarebbe importante contestualizzarne l’uso e le possibilità, declinandoli in modo da mostrare come le tecnologie digitali e Internet possano contribuire a migliorare la qualità della vita della gente comune, essere più informati e partecipi, fornire spunti su come le aziende di ogni ordine e dimensione possano beneficiarne. Tutto ciò è fondamentale per aprire l’Italia ad una prospettiva internazionale moderna.
E la scuola?
Per quanto riguarda la scuola non ci si deve limitare alla diffusione di tecnologia, all’efficientamento e riduzione dei costi, ma pensare alla formazione del personale docente e all’aggiornamento sia dei contenuti che vengono proposti agli studenti (dobbiamo insegnare a molti nostri giovani ad essere attori, non solo consumatori di strumenti prodotti altrove), sia delle metodologie didattiche. In questo senso vi sono “best practices” che vanno portate a sistema e diffuse, anche facendo leva sul coinvolgimento e la partecipazione dal basso.
Cosa fare per creare un ambiente favorevole alla nascita di nuove aziende innovative e alla crescita di quelle esistenti?
Questo punto mi sta molto a cuore perché le startup innovative richiedono intensità di capitale relativamente basso se raffrontate ad altri settori economici, pur avendo ritorni importanti in termini di occupazione e velocità di ritorno degli investimenti, anche perché consentono di capitalizzare un patrimonio di conoscenze e competenze molto diffuso in Italia e non concentrato solamente nelle regioni del Nord. Bisogna adoperarsi per arrestare il fenomeno degli “emigranti digitali” che porta tanti giovani a cercare, e spesso trovare, successo all’estero.
La crisi sembra accentuare il fenomeno.
Un primo passo molto importante ed innovativo nei modi lo abbiamo già realizzato in questo Governo con i provvedimenti per le startup in cui il Governo si è aperto ai suggerimenti da parte dei vari stakeholder. Il percorso condiviso con gli stakeholder per lo stimolo dell’imprenditoria giovanile e delle startup non può essere considerato un esercizio una tantum ma un primo passo che richiede continuità di sviluppo. Gli addetti ai lavori sono concordi nell’affermare che l’attenzione dimostrata ha già prodotto effetti positivi anche grazie allo Stato che affianca i capitali privati nel finanziamento di imprese innovative.
Spesso è la burocrazia che congiura contro le start-up.
Ricordo che nel provvedimento, oltre a risorse economiche dirette, abbiamo toccato aspetti riguardanti, tra l’altro, la semplificazione amministrativa, i contratti di lavoro, le modalità di remunerazione, incentivi fiscali. Non ci si può fermare dopo un primo passo, pur importante. Occorre proseguire in questa direzione. Penso ad esempio alla identificazione ed attuazione di ulteriori strumenti volti alla internazionalizzazione delle iniziative italiane (anche in rapporto con gli investitori internazionali) nonché tese alla promozione di un vero e proprio mercato delle startup, stimolando la nascita di opportunità di “exit” che, da un lato rappresentino uno stimolo per gli imprenditori, in particolare giovani, e dall’altro possono costituire un anello di congiunzione con università e centri di ricerca nel trasferimento tecnologico e di innovazione per tutti gli altri settori importanti dell’economia italiana tra cui il manifatturiero, l’edilizia intelligente e sostenibile, il turismo, il commercio, con una particolare attenzione alla cultura ed allo stile di vita italiano.