AGENDA DIGITALE

Open data, Benussi: “Nella PA è tempo di fatti”

Il varo del decreto Digitalia è previsto per giugno: i tavoli di lavoro della cabina di regia per l’Agenda stanno accelerando sull’elaborazione di strategie ad hoc e progetti prioritari. Per la prima volta parlano i protagonisti: ecco i progetti del rappresentante del Miur al gruppo di lavoro e-government

Pubblicato il 04 Apr 2012

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«Rough data now», dati grezzi ora. Lorenzo Benussi, consulente del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e rappresentante del Miur al gruppo di lavoro e-government e open data della cabina di regia, cita Tim Berners-Lee per riassumere la strategia che il governo intende mettere in campo per rilanciare i progetti di dati aperti in Italia.
Ci spiega a cosa si riferisce quando dice “dati grezzi ora”?
Mi riferisco a un modo di operare che dà priorità al “fare” e mira a mettere in moto un meccanismo di innovazione che si riflette su tutto il funzionamento della macchina amministrativa.
È una risposta a chi dice che la pubblica amministrazione italiana non è ancora pronta a fare open data?
Guardi, io capisco chi dice che il livello di digitalizzazione della PA non è ancora sufficiente per “aprire” le informazioni, ma trovo che sia un atteggiamento nocivo perché blocca la modernizzazione. Il mio approccio, nonché la mia esperienza sul campo (Benussi è stato uno dei realizzatori del primo portale open data in Italia, dati.piemonte.it ndr) mi portano ad affermare con certezza che l’azione paga sempre.
Ma come la mettiamo con la polverizzazione delle informazioni? Nella sola PA centrale ci sono 1.033 Ced, 82 sistemi elaborativi grandi e quasi 27mila intermedi…
È certamente un problema che va affrontato, ma nell’ambito di una visione dell’open data non solo come “progetto” ma soprattutto come “paradigma” per ripensare il modo di essere dell’amministrazione: nel momento in cui si espone l’informazione si è costretti a ripensare alla filiera che c’è dietro la produzione e la gestione dei dati stessi, ovvero alle modalità di funzionamento e di organizzazione del back end.
Per dirla in termini più semplici, l’open data è granellino che si porta dietro un grande ridisegno dell’architettura informativa pubblica. Nello specifico dei data center, determina un cambiamento nella direzione del cloud computing che efficienta e rende meno costosa l’archiviazione e, allo stesso tempo, facilita la razionalizzazione degli archivi digitali; nel complesso dell’architettura IT, questa funzionerà ispirandosi a principi quali trasparenza e accountability.
“Accountability” vuol dire, in buona sostanza, che la PA deve rendere conto agli utenti del suo funzionamento. Crede che i dipendenti pubblici italiani siano pronti a dare conto del loro operato?
Guardi, i civil servants – a me piace chiamarli così per ricordare il senso del loro lavoro – sono molto diversi dall’immagine che spesso si dà di loro. Lo dico per esperienza: i dipendenti sono pronti ad adottare nuovi linguaggi se questi servono a rendere più efficaci le attività. Disegnarli come “animali” strani non rende loro giustizia. Quindi la mia risposta è sì, credo siano pronti.
Ma il loro modo di lavorare cambierà con gli open data?
Cambieranno le attività di tutta la pubblica amministrazione: da gestore del dato ed erogatore di servizi diventerà solo gestore. Il paradigma della PA aperta vuole che i servizi che si possono sviluppare ed offrire all’utenza passino nelle mani del mercato.
Non rischia di depauperare la pubblica amministrazione?
Tutt’altro, è un modo per rilanciare il suo “core business” – elaborazione e gestione delle informazioni – e razionalizzare le sue attività, rendendole più efficienti. La messa a disposizione dei dati al mercato, inoltre, dà la stura allo sviluppo e alla competitività dei territori.
Quali saranno i prossimi passi del tavolo di lavoro e-gov e open data?
Elaboreremo una roadmap nazionale che parte dalla raccolta delle iniziative già messe in campo e finisce con la strutturazione di una strategia nazionale, che dalla esperienze locali vada a “scalare” anche sulle PA centrali. L’open data deve diventare realtà sia a livello centrale che locale. E il Miur ha fatto in qualche modo da apripista con il varo del progetto “Scuola in chiaro”, l’iniziativa che fornisce dati continuamente aggiornati su ogni singola scuola, mettendo a disposizione delle famiglie anche servizi di iscrizione online. Finora sono coinvolte 11 mila scuole di ogni ordine e grado, circa 8 milioni di studenti e 2 milioni di famiglie.

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