Ict e beni culturali. Un binomio che marcia a gonfie vele,
soprattutto all’estero – qualche mese fa la British Library ha
messo online gran parte del suo patrimonio mentre il Moma di New
York ha attivato percorsi virtuali – ma che in Italia ha ancora
molta strada da fare. Per “sensibilizzare” addetti ai lavori,
istituzioni, ma anche imprese interessate a fare business nel
settore, l’edizione 2009 del Congresso Aica approfondirà il tema
del delicato, ma sempre più necessario rapporto, tra cultura e
nuove tecnologie. A fare il punto sulla questione Gianni Orlandi,
ex rettore dell’Università di Roma “La Sapienza”, chair
dell’evento in programma a Roma dal 4 al 6 novembre prossimo.
Quest’anno Roma diventa Capitale delle cultura digitale,
dunque…
Roma è una città caratterizzata da un patrimonio unico al mondo
di beni culturali; può vantare una ricca e variegata attività
culturale che spazia fino al cinema e di cui Cinecittà è simbolo.
Possiede inoltre un tessuto produttivo dove piccole e grandi
industrie innovative fanno la parte del leone. Per valorizzare
tutto ciò Aica ha scelto Roma come sede del congresso.
L’Ict per i beni culturali. Quale è il vero valore
aggiunto?
Le nuove tecnologie consentono oggi forme inedite di valorizzazione
e di fruizione molto diverse rispetto al passato. Questo nuovo
contesto sollecita e attiva la produzione e la circolazione di
nuovi contenuti culturali, mettendo in gioco competenze
particolarmente “pregiate” e contribuendo a lanciare un nuovo
rinascimento, che guarda al futuro e che rende la cultura qualcosa
di immediatamente fruibile e “conservabile” a lungo. Ma il
valore aggiunto dell’hi-tech non riguarda solo la conservazione o
il rilancio dei beni culturali, ma attiene anche alla possibilità
di essere utilizzato come exit strategy dalla crisi economica.
In che senso?
In due sensi, a voler essere precisi. Valorizzando questi
patrimoni, da una parte, si rafforza il settore del turismo che in
Italia è sempre stato un importante driver di crescita; in secondo
luogo si struttura un nuovo modello di made in Italy che fa
dell’Ict applicato alla cultura il perno della ripresa; perno che
ci permetterà di competere a livello internazionale. Si tratta di
un’opportunità strategica che ha l’ambizione di coniugare
crescita economica, sviluppo della ricerca e dell’innovazione,
opportunità di mercato per le imprese. In altre parole sviluppare
occupazione in una catena del valore “integrata” che va dai
distretti tecnologici a quelli culturali, fino a quelli turistici,
delle lavorazioni artigianali, dell’enogastronomia. Insomma, un
volano moderno per una competitività compiuta dei nostri
territori, nella quale si saldano le ricchezze culturali del Paese
con le capacità tecnologiche e imprenditoriali.
C’è uno strumento tecnologico che può fare da driver in
questo senso?
Non propriamente. Certo, ci sono i cellulari che oggi sono dei
mini-pc tramite in quali i beni culturali possono essere fruiti
velocemente e in alta qualità; in quetso senso sarebbe
interessante pensare a progetti che vedano coinvolti soprattutto i
giovani. Ma non sarebbe sufficiente. Il cellulare è solo uno
strumento, importante, ma pur sempre uno strumento. È più
importante invece fare sistema, ovvero creare un circolo virtuoso
tra istituzioni, aziende e ed enti di ricerca per innovare il
nostro impareggiabile patrimonio culturale.