Nonostante gli sforzi compiuti la digitalizzazione dei servizi di pagamento rappresenta ancora un tallone d’Achille per la pubblica amministrazione. Non sembra semplice individuare una soluzione condivisa che sia efficiente per la PA e utilizzabile per i cittadini. Così, nel 2012, il 19% degli enti afferma di adottare in modalità diffusa soluzioni di pagamento multicanale (contro l’11% del 2010) e il 27% di averli adottati in modo sperimentale. Un passo avanti è stato fatto ma rimane una buona parte degli Enti che sta ancora valutando possibili soluzioni o non ha neanche preso in considerazione il problema. E’ quanto emerge da un’indagine condotta presso le PA dall’Osservatorio eGov del Politecnico di Milano, diretto da Giuliano Noci, e Doxa e sponsorizzata da Consorzio CB (Abi).
I canali attivati sono diversi a seconda della tipologia di servizio. Per quanto riguarda il pagamento delle multe i Comuni dichiarano di avere almeno due canali, anche se il principale è rappresentato dalle Poste affiancate prevalentemente dagli sportelli comunali e bancari. Il 22% dichiara inoltre di dare la possibilità di effettuare pagamenti tramite Bonifico, il 12% tramite Bancomat, il 7% tramite il Circuito Lottomatica e il 5 tramite altri esercizi commerciali. Il pagamento online con carta di credito è ancora fermo al 5%. Più innovative invece le soluzioni offerte per il pagamento agli Sportelli Unici per i quali sono attivi mediamente almeno 3 canali. In questo caso, il canale online è presente nell’8% dei Comuni.
A fronte di un’offerta che appare ancora incompleta, la domanda sembra ancor meno significativa: il pagamento online delle multe con carta di credito registra solo il 2% delle transazioni. L’indagine ha evidenziato come nonostante il cittadino provi a utilizzare internet per interagire con la PA spesso fatichi a trovare ciò che cerca o trova qualcosa che non corrisponde alle proprie aspettative. Inoltre emerge che se la multicanalità è attesa, la propensione all`utilizzo dei canali è legata non solo all`occasione d`uso ma anche al suo profilo personale e psicologico più che a quello anagrafico.
Con un livello di digitalizzazione ottimale, i Comuni italiani potrebbero risparmiare circa 105 milioni di euro all’anno. Ben 2 enti su 3 al di sopra dei 15.000 abitanti dichiarano di aver già avviato progetti finalizzati all’integrazione delle proprie banche dati, mentre sono 1 su 3 quelli con hanno provato a farlo con altri enti. Sino ad ora le iniziative di integrazione si sono focalizzate principalmente sui dati più complessi e quindi anche più informatizzati: anagrafici, tributari, territoriali, statistici, geografici e relativi alle attività produttive.
Non tutti i progetti raggiungono però i risultati desiderati. Le criticità infatti non sono poche. Da un lato, gli enti hanno evidenziato la difficoltà a mantenere aggiornate le banche dati e l’eccessivo sforzo per la bonifica delle informazioni. Problemi legati quindi solo marginalmente alle soluzioni tecnologie utilizzate e più alla tipologia e alla qualità di dati che nel tempo sono stati raccolti e conservati. Dall’altro lato emergono grosse difficoltà nell’ottenere adeguata collaborazione sia dal proprio personale sia da quello di altri enti. È anzi quest’ultima, insieme alla mancanza di adeguate risorse economiche e di commitment politico, la principale motivazione per cui solo un ente su tre dichiara di voler avviare iniziative di questo tipo nei prossimi 12 mesi.
Più dei due terzi degli enti ha un canale telematico per rapportarsi con le imprese ma sono ancora altrettanti i Comuni che hanno ancora attivo uno sportello fisico, rispettando solo in parte le disposizione delle recenti normative. Tali valori variano notevolmente a seconda delle singole realtà regionali, come dimostrano anche i dati sull`utilizzo dei servizi online che registrano percentuali tra l’8 e il 93%.
Anche la gestione delle pratiche all’interno del Comune può essere molto difforme: l’integrazione tra Pec e protocollo informatico varia tra infatti l`88 e il 20%, l’utilizzo di soluzioni per la conservazione sostitutiva, invece, dal 18 raggiunge l`80% nelle Regioni più virtuose.
L’indagine, condotta in collaborazione con Retecamere, evidenzia come l`impresa sia disposta a cambiare volentieri canale d’interazione se a questo corrisponde anche un miglioramento delle prestazioni della Pubblica amministrazione, oggi spesso considerata poco affidabile. Attualmente invece, solo il 25% delle imprese che usano i servizi online si dichiara convinto che la PA sia in grado di offrire tramite il Web lo stesso servizio offerto tramite sportello. E così le imprese scelgono di delegare a terzi l`interazione con la PA: molti per liberare tempo da dedicare alle proprie attività (40%) e per diminuire eventuali errori (60%), ma molti altri a causa della percezione di eccessiva complessità (50%) nell`accedere ai servizi della PA, per la sensazione di perdere di tempo (47%) e per la difficoltà nell`apprendere le procedure (42%).