Smart working e processi data driven. Sono questi i punti salienti della svolta 4.0 della PA analizzati nell’Annual Report realizzato da FPA e presentato oggi a Roma. Con il direttore generale, Gianni Dominici, cerchiamo di capire il quadro che emerge dall’indagine. Indagine che disegna un Paese in chiaroscuro con aree di eccellenza – a livello geografico e progettuale – ma che ancora non riesce a mettere a frutto quanto stabilito dalla riforma Madia, alla vigilia della messa in opera del decreto Concretezza voluto dall’attuale ministra della PA Giulia Bongiorno.
Il 2019 è appena iniziato ma la ministra ha già definito le azioni chiave sul tema della PA digitale. Come giudica la scelta del governo?
L’istituzione del Nucleo Concretezza, le nuove disposizioni in materia di assenteismo, lo sblocco del turnover sono azioni indispensabili se vogliamo rinnovare una struttura istituzionale che rischia di essere sempre più inadeguata a gestire il futuro. In questo contesto sono da seguire con attenzione quei processi di innovazione organizzativa che, pur procedendo con eccessiva lentezza, possono rappresentare le condizioni per la diffusione di una nuova cultura nella PA e della PA. Tra questi, spicca sicuramente lo smart working.
L’Annual Report dedica un capitolo ad hoc al lavoro agile. Cosa emerge?
Come dimostrano i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2018, non c’è stato un incremento nel numero di amministrazioni che hanno avviato progetti – pari a circa il 9% del totale – ma c’è stata una crescita in termini di sensibilizzazione e di condivisione di esperienze e pratiche.
Ci sono progetti all’avanguardia?
Il progetto Vela (acronimo di Veloce, Leggero, Agile ndr) registra la collaborazione tra importanti enti locali italiani e il coinvolgimento della stessa FPA a supporto della comunicazione di progetto. La diffusione della sperimentazione su lavoro agile rappresenta l’occasione di una nuova prospettiva culturale che pone al centro non i vincoli giuridici e di bilancio ma le persone.
A proposito di persone. Per garantire il successo dei progetti innovativi – smart working incluso – serve un forte investimento nella formazione…
E’ cruciale mettere in campo azioni di valorizzazione delle risorse interne. La macchina pubblica, infatti, è quella che ben conosciamo: l’età media dei dipendenti è di 50 anni e cresce con una media di 6 mesi l’anno. Il 62% dei dipendenti pubblici ha al massimo un diploma di licenza media superiore, il 4,2% ha una laurea breve e poco più di 1/3 (34%) ha la laurea o titoli superiori. Nel 2008 la media di giornate di formazione per ciascun dipendente era di 1,4, nel 2016 siamo scesi a 0,9. A fronte di questo c’è un evidente ricorso al fai da te, all’autoformazioneinsomma.
E dunque?
Quello della formazione è quindi un tema centrale, strategico, propedeutico a qualsiasi processo di cambiamento. Per questo a ottobre il dipartimento della Funzione Pubblica ha presentato il progetto del Syllabus che ha lo scopo di dotare le diverse amministrazioni di uno strumento per rafforzare le competenze richieste a un dipendente pubblico. Progetto che può rappresentare un nuovo inizio sul fronte e-skill.
Un altro pilastro dell’innovazione pubblica è l’open government. A che punto è l’Italia?
Purtroppo il tema sembra relegato nell’ambito di incontri internazionali invece che ispirare politiche nazionali e locali. A preoccupare soprattutto il fatto che la “terza gamba” dell’open government, ovvero la collaborazione, è stata accantonata per fare spazio soprattutto alla trasparenza.
E’ comunque un principio importante…
Certamente, ma non basta. Senza spingere sulla collaborazione si rischia di fare riferimento a un approccio vecchio e insostenibile di una PA bipolare – magari per alcuni versi illuminata – ma sempre come cosa “altra” rispetto alla molteplicità degli attori sociali.
E invece?
Una PA abilitante l’innovazione non può che scaturire dalla collaborazione dei diversi attori coinvolti: cittadini, associazioni e amministrazioni stesse. Unico elemento in controtendenza in merito all’open government proviene dal mondo degli Open data: l’Open Data Maturity Report colloca quest’anno l’Italia al 4° posto (4 posizioni in più dell’anno precedente) e conferma la posizione tra i “trend-setter”. L’indice Desi, che complessivamente ribadisce il ritardo del paese nel percorso di digitalizzazione, in materia di Open Data registra un avanzamento dal 19° all’8°posto. Un avanzamento, che passa soprattutto per il ruolo chiave che hanno assunto le community territoriali impegnate sempre di più nella creazione di una domanda di dati di qualità.
Le smart city sono piattaforme abilitanti dell’innovazione collaborativa?
I territori sono contesti dove l’innovazione trova le condizioni maggiormente favorevoli per diffondersi coniugando, nelle realtà più avanzate, sperimentazione di nuovi modelli di governance, visione di futuro e capacità di innovazione tecnologica. La Smart Sustainable e Responsive City è la città che fa ricorso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per produrre, elaborare e condividere informazioni cosi da prendere prontamente le migliori decisioni per portare avanti processi di innovazione istituzionale, culturale ed organizzativa per migliorare la qualità della vita, i livelli di occupazione, la competitività delle generazioni attuali e future e garantendone la sostenibilità economica, sociale e ambientale.
Parliamo di una città data driven, dunque?
Big data, le reti di sensori, l’Internet of Things e le smart grid sono protagonisti della svolta. Il nostro Cantiere Dati & IOT per i servizi pubblici locali è stato luogo di confronto su questi temi ed ha permesso di evidenziare la necessità, da parte delle amministrazioni, di fornire servizi smart ai propri cittadini e ai gestori di monitorare l’erogazione del servizio in maniera costante. Un approccio, portato avanti, ad esempio in Emilia Romagna da Lepida: lì i dati raccolti da migliaia di nuovi sensori sono resi disponibili sia ai proprietari dei sensori sia a ogni articolazione della PA per finalità istituzionali e di interesse pubblico.
I dipendenti pubblici sono pronti alla svolta?
Come dicevo prima l’investimento in formazione resta determinante. Ma ciò che è emerso dal report è che solo solo un coraggioso switch-off che renda obbligatorio il digitale può portare ad una trasformazione della PA che deve includere processi, cultura, atteggiamento verso il lavoro e verso l’utenza. Certo per i non digitalizzati vanno previsti canali assistiti, ma la carta deve scomparire del tutto e da subito come dice il 71,7% degli intervistati.