L'INTERVISTA

PA digitale, Gastaldi (Polimi): “Italia in corsa, ora accelerare”

Il Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano anticipa a CorCom i temi chiave della ricerca 2017: “Focus su procurement e cittadinanza digitale. Al nostro Paese servono indicatori chiari di misurazione dei progressi fatti”

Pubblicato il 30 Nov 2017

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Il Piano Triennale traccia la strada giusta per innovare la PA ma se non sarà percorsa con velocità e perseveranza rischia di rimanere lettera morta. Il monito arriva da Luca Gastaldi, Direttore Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, che in vista della presentazione dei dati di quest’anno – appuntamento il prossimo 5 dicembre a Roma –  anticipa a CorCom le linee guida della ricerca.

L’Osservatorio è ormai un appuntamento molto atteso per capire cosa sta succedendo nel Paese. Quest’anno su cosa vi siete concentrati?

La metafora scelta quest’anno è la corsa: il nostro Paese è in ritardo, ma dobbiamo procedere nella nostra corsa al digitale. È di vitale importanza garantire continuità a tutte le iniziative portate avanti sui vari fronti: da quello economico-finanziario a quello relativo alla governance dell’attuazione. La strada tracciata nel Piano triennale è quella giusta ma, se non sarà percorsa con perseveranza e lavoro di squadra, non alimenterà i cambiamenti strutturali che con fatica Agid e il Team di Piacentini hanno finalmente avviato.

Cosa si può fare per evitare che il Piano resti solo una dichiarazione di intenti?

In questo contesto, la misurazione dei progressi fatti e l’indirizzamento delle politiche di sviluppo è fondamentale ed è per questo motivo che l’Osservatorio propone i Digital Maturity Idexes, indici che misurano quanto investito (fattori abilitanti) e raggiunto (risultati ottenuti) dai Paesi sul fronte digitale, cercando di superare alcuni limiti del Desi.

Quali sono i temi caldi affrontati dalla ricerca?

Un tema caldo è certamente quello degli acquisti pubblici di innovazione digitale. La Finanziaria 2016 impone di tagliare entro il 2018 la spesa pubblica in digitale, attraverso la riduzione di spese correnti improduttive che dovrebbero permettere di recuperare risorse per gli investimenti del Piano triennale. A questo si aggiunge l’incertezza normativa, in particolare del Codice dei contratti pubblici e le difficoltà di utilizzo dei nuovi strumenti d’acquisto messi a disposizione dal Codice. Infine un ultimo tema rilevante che tocca direttamente tutti noi è quello della cittadinanza digitale. Abbiamo approfondito il rapporto tra cittadini e tecnologie digitali e in particolare con i servizi pubblici digitali, constatando che siamo ancora indietro sia per competenze che per utilizzo.

In questo anno, a suo avviso, quali sono state, le novità più rilevanti?

Il fatto che siamo in ritardo sul digitale non è un segreto e ci portiamo questo fardello da diversi anni ormai. La novità più importante riguarda forse la redazione del Piano triennale per l’informatica nella PA. Atteso dal 2013, tale piano indirizza finalmente in modo chiaro la trasformazione digitale della PA italiana, fissando i principi architetturali fondamentali e le regole di usabilità e interoperabilità da seguire. Grazie al Piano si chiarisce il modello per lo sviluppo del digitale in ambito pubblico. Centralmente sono realizzate le piattaforme – PagoPA è un esempio – che dovrebbero abilitare in modo irreversibile la digitalizzazione dei processi della PA. Le amministrazioni sviluppano servizi secondo le proprie specificità, utilizzando competenze interne o di mercato, appoggiandosi alle piattaforme nazionali e cercando di riqualificare la propria spesa in innovazione digitale.

Sul fronte privato che sta succedendo?

Le aziende private possono programmare investimenti di lungo periodo e sfruttare nuove opportunità di mercato, creando soluzioni che si integrino o valorizzino le piattaforme nazionali. I cittadini godono di servizi pubblici più efficienti ed efficaci. Poi ci sono novità rilevanti anche sul fronte normativo.

Qualche esempio?

Si tratta di regole che, almeno sulla carta, vanno tutte nella direzione di semplificare le regole per realizzare innovazione digitale in ambito pubblico. In particolare, il 2017 è stato caratterizzato dal correttivo al Codice dei contratti pubblici volto a incentivare la diffusione di processi di procurement pubblico più snelli e digitalizzati. La riforma del codice è lungi dall’essere terminata e ha registrato diversi ritardi. La sensazione potrebbe pertanto essere quella di aver fatto due passi avanti e tre indietro o, peggio, di aver fornito alibi all’immobilismo della PA. Non è così. È sufficiente considerare le gare pubbliche in tecnologie digitali che, dopo un rallentamento a fronte della pubblicazione del nuovo Codice dei contratti pubblici, stanno tornando ai livelli di qualche anno fa, anche se nel frattempo i Paesi europei simili al nostro vedono quasi tutti dei decisi aumenti. Anche qui ci vuole pazienza e determinazione nel portare avanti le nuove procedure e il loro corretto utilizzo per migliorare il sistema di acquisti digitali.

Il piano Industria 4.0 è realtà. Il “mantra” è che per renderlo efficace serva una PA 4.0. Lei che idea si è fatto?

Riprendendo un po’ da quanto l’Osservatorio aveva già espresso lo scorso anno, a mio avviso la ricetta vincente sta nella collaborazione tra PA e imprese, ovvero nel “patto di alleanza” che si deve instaurare tra pubblico e privato.  Il piano triennale per l’Informatica nella PA, porta avanti un modello chiaro, che da un lato cerca di inquadrare in una cornice organica le diverse iniziative avviate e dall’altro valorizza i contributi che, insieme, imprese e PA possono dare all’ammodernamento del nostro Paese. In questo momento, in cui si inizia ad intravedere un modello chiaro e si inizia a dare ordine alle tante iniziative e progettualità, è necessario “proteggere” tale modello e dare continuità alla sua attuazione. È necessario che pubblico e privato prendano consapevolezza della centralità di una loro azione congiunta e trovare reciproci vantaggi dalla loro collaborazione.

Ma servono anche competenze digitali che, però, in Italia sono scarse. Che fare? 

Purtroppo gli italiani hanno competenze digitali inferiori alla media europea. La gran parte dei nostri cittadini con solide competenze digitali ha un’età inferiore a 55 anni. Contribuiscono in maniera significativa i Millenials (giovani tra i 18 e i 34 anni). Non ci sono invece sostanziali differenze a livello di competenze digitali tra le persone che hanno dai 35 ai 54 anni. Le competenze crollano invece dopo i 65 anni. I numeri suggeriscono che, piuttosto che interventi “a pioggia”, è meglio incentivare lo sviluppo di competenze negli ambiti meno maturi, agendo con priorità sulle  fasce della popolazione più bisognose di miglioramenti: ad esempio sarebbe opportuno dare incentivi alle persone over 65, oltre 13 milioni di persone, per fare in modo che essi si avvicinino maggiormente al digitale, grazie a programmi formativi adeguati in termini di obiettivi e linguaggio. Infine serve intervenire su aspetti che potrebbero garantire “cambi strutturali” nel medio-lungo termine, come ad esempio la capacità di programmare o il numero di lauree in materie Stem.

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