IL DOSSIER CORCOM

I dati della PA non si “parlano”. C’è un nuovo piano, ma manca la governance

Siamo ancora quasi all’anno zero. Sistemi e piattaforme non sono in grado di “interagire” al netto di casi virtuosi. Il team di Piacentini in campo con un progetto ad hoc sull’interoperabilità. Ma il vero tema è che manca una cabina di regia. A Milano un tavolo di lavoro coordinato da CorCom

Pubblicato il 16 Mar 2018

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È ancora lunga la strada della PA italiana verso la messa a fattor comune dei “dati”. Nonostante l’evoluzione tecnologica e nonostante gli sforzi compiuti nel corso dell’ultimo decennio sia a livello normativo sia di “evangelizzazione” dei dipendenti pubblici l’interoperabilità delle piattaforme e dei sistemi in uso alle amministrazioni pubbliche è ancora un “dossier” irrisolto.

Il punto sullo stato dell’arte e sulle iniziative in corso che mirano a sciogliere una volta per tutte il nodo, anche se non sarà una questione imminente, è stato fatto in occasione della Milano Digital Week durante un evento organizzato presso la nuova sede del Cefriel – in collaborazione con FPA e Digital360 – che ha chiamato a raccolta una serie di esperti e rappresentanti delle PA e delle istituzioni, nazionali e internazionali, per un confronto a 360 gradi sui temi caldi che coinvolgono la digitalizzazione della PA. Digital identity, Security, Digital Payment, Open data framework, Citizen Relationship management e Interoperability le sei aree di azione prese in esame attraverso altrettanti tavoli di lavoro che hanno impegnato i partecipanti in un lungo pomeriggio di dibattito, il primo nella nuova sede del Cefriel. “Per noi è essenziale sviluppare l’innovazione, non solo nelle aziende ma anche nella pubblica amministrazione”, ha detto il padrone di casa Alfonso Fuggetta nell’inaugurare i lavori.

CorCom in particolare ha presenziato, in qualità di coordinatore, al tavolo sull’interoperabilità.

IL TEAM DIGITALE ANNUNCIA LA SVOLTA: NUOVO PIANO PER L’INTEROPERABILITA’-PAESE

“Da 18 mesi, ossia da quando faccio parte del Team Digitale (quello capitanato da Diego Piacentini, ndr) è la prima volta che veniamo coinvolti in un evento che si occupa di interoperabilità. Eppure si tratta di un tema chiave, non a caso uno dei pilastri portanti anche del nuovo Piano triennale Agid (approvato a maggio dello scorso anno, ndr)”, ha esordito Simone Piunno, Cto del Team Digitale, il quale ha ricordato che “nonostante l’Italia abbia tentato di darsi uno ‘schema’ fra il 2005 e il 2008 anche sul tema della coooperazione applicativa il piano è di fatto fallito a causa della complessità delle azioni previste”.

La “porta di dominio” e la “busta egov”, strumenti che avrebbero dovuto fare da testa d’ariete non hanno sortito i risultati sperati e non a caso il nuovo Piano Triennale Agid li ha mandati formalmente in pensione, anche se molte amministrazioni non li hanno mai usati nel corso dell’ultimo decennio. “Siamo a un punto importante: di qui in avanti bisognerà attuare un nuovo piano di interoperabilità, peraltro uno step necessario considerata l’evoluzione tecnologica, ed è importante non ripetere l’errore della farraginosità che ha impedito l’attuazione del precedente progetto”, ha evidenziato Piunno. “ma soprattutto bisognerà puntare sulla governance, aspetto che è stato fin troppo sottovalutato”.

La questione peraltro non è esclusivamente italiana e spesso il confronto che viene fatto con gli altri Paesi fa leva su parametri e condizioni di base che non consentono confronti alla pari. “Al netto del Regno Unito, unico Paese con cui è possibile fare un confronto per caratteristiche territoriali e quantità di popolazione, le nazioni davvero avanzate in tema di digitalizzazione sono tutte molto piccole. I primi della classe sono Estonia e Singapore, per citare due eccellenze, ma è evidente che non possiamo prenderli come modelli per l’Italia – ha puntualizzato il Cto del Team Digitale -. Il Regno Unito è passato peraltro alle ‘maniere forti’ solo nel 2011, con un piano molto puntuale e investimenti pubblici ad hoc. La Germania ha addirittura fatto una modifica alla Costituzione per consentire la gestione centralizzata del dato e la Francia si è appena attivata. Persino gli Usa hanno mosso i primi passi concreti solo durante l’amministrazione Obama. Fino ad oggi dunque non è possibile individuare una best practice vera e propria a livello mondiale”.

Se è vero che il cammino è lungo e tortuoso è anche vero però che la situazione non è certo quella di dieci anni fa. In Italia non mancano le amministrazioni virtuose anche se la mappatura è a macchia di leopardo. Fra le eccellenze ci sono senza dubbio il Comune di Milano ma anche molte amministrazioni dell’Emilia Romagna.

A MILANO UNA SQUADRA AD HOC. NEL 2018 OBIETTIVO BLOCKCHAIN

A Milano è stata addirittura costituita una squadra ad hoc di sei persone che lavora a una serie di iniziative. “Nel 2014 abbiamo avviato un censimento per dimostrare ai decisori che l’importanza dell’interoperabilità era diventata un’urgenza”, racconta Sara Belli, direttore del progetto di interoperabilità al Comune di Milano e. “Dalla mappatura sono risultate oltre 200 applicazioni a silos costruite con tecnologie monolitiche non scorporabili e non reingegnerizzabili. Il 75% degli scambi dati avviene manualmente, il tutto senza una governance”.  E proprio il tema della governance è quello su cui bisognerà lavorare, ne è convinto lo stesso Piunno. “La questione poi più che tecnica è culturale – ha continuato Belli -. Il primo step per superare le criticità è creare interoperabilità fra le persone. Quindi come gruppo quello che stiamo cercando di fare è diffondere la cultura dell’interoperabilità interagendo e comunicando questa mission”. L’interoperabilità inoltre deve “sposarsi” con altre questioni chiave: “Il tema non è solo locale o solo nazionale ma internazionale. Dobbiamo affrontare sfide come quelle legate ad aspetti legali, di privacy, di cultura e organizzazione, la gestione del catalogo unico e quella delle ontologie dei dati affinché tutti ci si possa scambiare dati che abbiano un senso comune e un valore nel loro significato. Per non parlare delle sfide tecnologiche ossia di quelle legate alle infrastrutture che abilitano l’interoperbailità”. Fra le iniziative che il Comune di Milano ha in calendario per il 2018 un progetto che prevede la realizzazione di strati di dati oltre le Api e anche l’utilizzo della tecnologia blockchain.

CESENA SCOMMETTE SUI SERVIZI A VALORE AGGIUNTO

Più che virtuosi anche molti Comuni dell’Emilia Romagna fra cui Cesena e Ferrara. Fondamentale l’attività di coordinamento portata avanti dalla Regione, da sempre impegnata nella messa a fattor comune delle iniziative in modo da non disperdere energie e risorse e da realizzare un “framework” di lavoro condiviso e funzionale al raggiungimento dei risultati in termini di produttività e funzionalità. “Quando ho iniziato il mio percorso nel 1998 il Comune di Cesena, come la maggior parte dei Comuni, fronteggiava il tema della gara del sistema informativo. E al tempo si trattava di gare omnibus, ossia omnicomprensive di sistemi, tecnologie e piattaforme. Gare molto pericolose con senno di poi perché da un lato il responsabile dei sistemi informativi cercava di individuare tecnologie innovative, dall’altro i dirigenti puntavano su sistemi conosciuti e di cui erano a conoscenza. I fornitori proponevano sì pacchetti interoperabili ma interoperabili nell’ambito delle loro soluzioni. Il tema però è che i sistemi devono essere ‘aperti’ per consentire l’interazione di dati di natura diversa”, racconta Alessandro Francioni, dirigente del Comune di Cesena.

Francioni punta l’attenzione su uno status quo allarmante: “Sono almeno 5000 su 8000 i Comuni che non sanno nemmeno cosa sia l’interoperabilità. Il silos è ancora la richiesta numero uno. E solo il 16% degli enti locali – stando ai dati dell’Osservatorio Egov del Politecnico di Milano – ha un ufficio dedicato all’informatica. La logica alla base dell’interoperabilità è una logica ‘alta’, che deve fare leva su servizi a valore aggiunto e sull’analisi dei dati”.

FERRARA E IL MODELLO SOFTWARE AS A SERVICE

Il modello di riferimento – secondo Fabio De Luigi, dirigente del Comune di Ferrara deve essere quello del sofware as a service. “I Comuni difficilmente hanno progetti ad hoc sull’interoperabilità eppure ci sono momenti in cui l’interoperabilità diventa chiave. Ad esempio quando il Comune si rende conto che ci sono problemi nell’erogazione dei servizi ai cittadini. È questo il caso della Tari, in cui si creano anagrafiche ‘sporche’ frutto della mancata condivisione dei dati fra più enti e la situazione si ingarbuglia. Grandi difficoltà poi si incontrano quando i Comuni devono interagire con soggetti esterni alla pubblica amministrazione”. Secondo De Luigi la chiave è “costruire un’infrastruttura già dotata di un servizio di base, come nel caso di Spid, PagoPa e Anpr”.

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