LA PROPOSTA

PA digitale: “Serve un osservatorio per i dati culturali”

La proposta avanzata nel corso di un convegno promosso dall’Accademia Italiana del Codice di Internet. Il presidente Gambino: “L’accesso al patrimonio pubblico sia il perno della digitalizzazione”

Pubblicato il 03 Lug 2015

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Un Osservatorio per monitorare la digitalizzazione del patrimonio informativo e culturale della PA. La proposta è emersa nel corso di un convegno promosso dall’Accademia Italiana del Codice di Internet nel quale sono state approfondite, con la partecipazione di esponenti delle istituzioni e giuristi, opportunità e criticità della Direttiva 2013/37/UE, all’esame del Parlamento, sul libero accesso e il riutilizzo dei dati in possesso di Pubblica Amministrazione, biblioteche, musei e archivi.

“È nostra intenzione costituire un Osservatorio che abbia come compito il monitoraggio della digitalizzazione del patrimonio informativo e culturale in possesso della Pubblica Amministrazione – annuncia Alberto Gambino, presidente dell’Accademia Italiana del Codice di Internet – Sarà un Osservatorio aperto che naturalmente dialogherà con chi già istituzionalmente si occupa della materia, e che non sarà composto solo di giuristi ma punterà a riunire tutti i saperi umanistici per rappresentare un intreccio di competenze orientate a verificare che davvero questa stella polare dell’open access, ma anche del non detrimento delle risorse delle nostre amministrazioni, possa trovare una realizzazione bilanciata”.

Il lavoro che attende il Parlamento, chiamato a recepire la direttiva 2013/37/UE (la scadenza per la sua adozione è il prossimo 18 luglio e la discussione è al momento ferma in Commissione Affari Esteri e Comunitari del Senato) che, nel quadro della iniziative dell’Agenda digitale europea, impone agli enti pubblici di rendere fruibili tutte le informazioni in loro possesso e il loro reimpiego a fini commerciali o non commerciali, è delicato. La direttiva è infatti destinata a rivoluzionare le modalità di gestione e di valorizzazione del patrimonio culturale digitale e richiede una riflessione imprescindibile da parte del legislatore anche in considerazione della farraginosità di un sistema normativo stratificatosi nel corso degli anni e della specificità dell’Italia, titolare del patrimonio culturale più diffuso in Europa.

Una riflessione che si intreccia con le molte proposte che si stanno susseguendo in materia di Open Data e di trasparenza delle informazioni delle quali è titolare la P.A. Ultima in ordine di tempo quella oggetto dell’inserimento nel Ddl di riforma della Pubblica Amministrazione di un emendamento in materia di Freedom of Information Act a firma degli onorevoli del Pd Anna Ascani e Paolo Coppola; quest’ultimo è intervenuto durante i lavori sottolineando il valore dell’opera di disclosure che si va componendo nel panorama legislativo nazionale e comunitario.

Far sì che il recepimento della direttiva e il rafforzamento degli obblighi in capo agli enti pubblici in materia di accesso alle informazioni, anche attraverso licenze che ne consentano il riutilizzo a fini commerciali da parte di privati, non pregiudichino la tutela del patrimonio culturale, complice uno sfruttamento indiscriminato dei dati a scapito del valore del bene pubblico, della sua integrità e conoscenza, è stato dunque il filo conduttore di gran parte degli interventi, introdotti da una relazione di Marina Giannetto, Sovrintendente dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica.

Gustavo Ghidini (Università degli Studi di Milano, Università LUISS Guido Carli) ha lanciato la proposta di un “doppio binario” per il riuso del patrimonio culturale digitale: accesso libero e gratuito per ricercatori e studiosi; a fronte di un ritorno economico per la PA nei casi di reimpiego a fini commerciali. “In relazione al tipo di accesso per fini editoriali o commerciali – secondo Ghidini – dovrebbe essere ammesso un compenso in linea con i principi della disciplina autoriale, ponendo in capo all’amministrazione concedente un obbligo di reinvestimento dei ricavi nello sviluppo e nel potenziamento dell’architettura impiegata per la pubblicazione dei dati. Un obbligo, che dovrebbe estendersi ai proventi delle operazioni derivate di marketing culturale connesse eventualmente all’uso commerciale dei dati”.

“Siamo consapevoli della grande responsabilità con la quale dobbiamo affrontare il tema” ha sottolineato Antonia Pasqua Recchia, Segretario Generale presso il Ministero dei Beni e della Attività culturali e del Turismo: “Da parecchio tempo il ministero si è posto in una posizione di particolare apertura, sia per la presenza di banche dati di archivi e biblioteche sia per la digitalizzazione di opere d’arte, e con licenze d’uso Creative Commons. Vanno però differenziati vari aspetti: la completa accessibilità non deve sempre essere sovrapposta e confusa con la gratuità del dato, perché i dati di qualità costano sotto molti punti di vista. Un altro tema è poi quello della tutela dell’integrità delle opere quando c’è riproduzione, aspetto anche più importante del ritorno economico in senso stretto. Ma di sicuro non dobbiamo temere la pirateria sul patrimonio culturale, perché per quanto servano delle regole bisogna partire dal presupposto che maggiore circolazione significa arricchimento diffuso”.

Silvia Costa, Presidente della Commissione Cultura al Parlamento Europeo,ha auspicato che “l’Osservatorio lanciato dal Professor Gambino possa espandersi su scala continentale; sarebbe molto importante che cominciassimo, anche grazie all’Accademia, ad avere nuovi luoghi di confronto”.

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