Le “applicazioni basate sul web” sono tornate ad essere molto
di moda, soprattutto grazie al grande successo di iPhone e iPad. Ma
si tratta di un modello applicativo che ha una lunga storia, che
parte dalle prime applicazioni client-server, comparse nella metà
degli anni ’80. All’epoca le reti erano locali, non geografiche
(come Internet), e questi sistemi richiedevano che per ognuno di
essi fosse installata la parte client sul computer di ciascun
utente. Era un lavoro faticoso, che doveva essere fatto a mano.
Oggi queste limitazioni non ci sono più: le reti sono geografiche,
senza fili, e i software attuali permettono l’aggiornamento
automatico dei client. Oggi si scarica sul proprio iPad una
applicazione, questa si collega – se necessario – con il suo
database e fa quello che deve fare. Quando vengono introdotte nuove
funzionalità, il software riceve il messaggio che lo avvisa della
presenza di una nuova versione e l’utente può decidere se
scaricarla.
In realtà questo non è l’unico modello: con il termine web app
si identificano infatti numerosi “oggetti”. Il più diffuso
sono le web application “classiche” che generano il loro output
in modo dinamico all’interno del browser. Sono applicativi che
operano su tre livelli: il web browser, che agisce da terminale
grafico, il motore applicativo costituito da codice in un qualche
linguaggio di sviluppo dinamico lato-server e un terzo livello
riconducibile al motore database. In questo modello il web browser
del client invia le proprie richieste al motore applicativo del web
server, che – se necessario – interagisce con il database ed
elabora le richieste, restituendo il risultato all’utente sotto
forma di pagine Web.
Oggi si sta diffondendo un secondo modello, spinto dal successo di
iPhone e iPad. Sul client viene installata una applicazione
residente, la quale scambia i dati col database. In questo caso,
non ci sono il browser e il server applicativo: è l’applicazione
che gestisce al suo interno il collegamento con i dati. Invece di
avere un browser con cui si va su tanti siti quante sono le
applicazioni (webmail, crm, e-commerce, sistemi di pubblicazione di
notizie, blog), si ha un raccoglitore di applicazioni, ognuna delle
quali esegue una singola funzione. L’elaborazione è sul client,
che però – rispetto agli anni ’80 e ’90 – è facilissimo
tenere aggiornato. A questo si aggiunge un terzo modello, che
prevede l’interazione tra applicazioni tradizionali e la rete: un
esempio sono le Microsoft Office Web Apps.
Quando Chris Anderson ha scritto che il “web è morto” in
realtà intendeva dire che il web si sposterà sempre più verso le
web app del secondo e del terzo tipo. In pratica si esce da
concetto “un unico browser per navigare tra i diversi siti” per
abbracciare il concetto “tanti applicativi verticali, ognuno che
fa una cosa sola, ma sempre collegati on-line”. Questo modello
può essere interessante anche per la PA, soprattutto nelle
attività legate al rapporto con i cittadini. Si possono immaginare
applicazioni semplici da usare che possono essere scaricate sua sul
pc sia su dispositivi mobili, come tablet e smartphone. Ad esempio,
a Nizza, sulla Costa Azzurra, da maggio scorso tutto il sistema dei
trasporti funziona con la tecnologia contactless, che collega i
cellulari di ultima generazione a società di trasporto, banche,
negozi e persino informazioni turistiche.
Il beneficio delle web app del secondo tipo (quello iPhone/iPad per
intendersi) è che permette di semplificare il rapporto con il
cittadino e di razionalizzare al meglio le basi dati e gli
applicativi delle PA. Si tratta di una frontiera di grande
interesse, anche se occorre essere onesti con il ruolo che
l’informatizzazione ha avuto e può avere in ambito pubblico.
Spesso si ritiene che la disponibilità di nuove tecnologie sia, di
per sé, sufficiente per risolvere i problemi esistenti. È il
ragionamento di coloro che, non sapendo giocare a tennis, cambiano
spesso racchetta, credendo che usando racchette più sofisticate
possano migliorare la condizione di gioco. In realtà se uno non sa
giocare non c’è racchetta che tenga.
Lo stesso si può dire dell’informatica in ambito pubblico. Il
problema maggiore che oggi ha la PA è la frammentarietà delle
basi dati, che spesso sono scollegate e non sincronizzate. Il
modello delle web app può essere utile, ma è necessario tenere
presente che, spesso, il problema è normativo e organizzativo, non
tecnico. Occorre avere ben chiaro che, se non si accompagna
l’adozione delle nuove tecnologie all’introduzione di modelli
organizzativi e gestionali adeguati, lo sforzo, spesso lodevole,
dei responsabili Ict della PA, resta vano. In questa direzione va
la nuova stesura del Codice dell’Amministrazione Digitale, sul
quale sta lavorando il ministro Renato Brunetta, con la
consapevolezza che la sola tecnologia, da sola, non può essere
sufficiente.