Le norme per l’obbligatorietà dell’esercizio associato per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, regolano anche le attività connesse all’utilizzo delle “tecnologie dell’informazione e della comunicazione” e vanno a definire una nuova sfida per i responsabili della Ict degli enti locali.
Questo riassetto organizzativo può essere, tuttavia, considerato come una opportunità per le imprese che offrono soluzioni per la pubblica amministrazione e, in particolar modo, per chi ha ampliato la propria offerta con servizi in cloud. La necessità di contenere i costi della infrastruttura Ict e di accentrare la gestione dei servizi, porteranno, infatti, molti comuni a rivedere i propri modelli architetturali. Questo processo di razionalizzazione non potrà che farci bene, considerato che l’Italia non è soltanto il Paese dei campanili, ma anche quello dei datacenter; si stima che intorno alla Pubblica amministrazione centrale (Pac) ruotino un migliaio di datacenter, mentre la Pubblica amministrazione locale (Pal) e sanità se ne contendono ulteriori tremila. Una montagna di hardware, di banche dati replicate, disallineate, non aggiornate
Pare evidente che il problema di questa proliferazione dei sistemi informativi va attribuito ad una normativa che è stata lacunosa nel migliore dei casi mentre, in altri, è stata essa stessa fonte di questa frammentazione dal punto di vista logico e fisico. Negli ultimi tempi, tuttavia, assistiamo ad una inversione di tendenza, in un contesto in cui si passa dal modello technology-driven ad uno basato sull’analisi dei processi. Il paradigma dei servizi in cloud risponde a questo nuovo orientamento, anche se ci sono ancora alcuni aspetti da affrontare: uno di carattere generale legato alla banda a disposizione sulla rete ed uno legato alla tutela dei dati personali.
La questione dell’accesso ai servizi in cloud e i relativi tempi di latenza, diventa un nodo cruciale dal momento che la disponibilità di una banda adeguata diventa una condizione imprescindibile per l’erogazione anche dei servizi allo sportello e di back-office.
Il discorso del trattamento dei dati personali non impatta sulle modalità di utilizzo dei servizi nella nuvola ma è altrettanto rilevante, trattandosi di servizi per la PA. La pervasività a livello globale che è intrinseca in questo modello e che porta ad avere delle server farm anche al di fuori del territorio nazionale ed europeo, richiede di approfondire attentamente come sia possibile garantire la tutela della privacy in contesti extraterritoriali. Su questo tema si è pronunciato in più occasioni il Garante della Privacy; una soluzione che trova buona parte degli stakeholder d’accordo è quella di una nuvola pubblica certificata, gestita dall’Agenzia digitale come una evoluzione dell’attuale Spc. Questo consentirebbe di realizzare una infrastruttura nazionale, grazie ad accordi con soggetti privati, che però verrebbe gestita da un soggetto pubblico.
In questa ottica fa ben sperare il segnale dato dal Direttore dell’Agenzia Digitale, Agostino Ragosa: “Consolidare questa pletora di sistemi vuol dire liberare risorse che ancora spediamo sul vecchio per investirle nel nuovo. Dobbiamo puntare su un’opera di standardizzazione delle applicazioni, ridisegnare le architetture per arrivare a un’infrastruttura unica per tutti i servizi. Solo l’integrazione dei servizi ci garantisce efficienza e risparmi; frammentazione e particolarismi ci hanno reso ultimi in Europa nella digitalizzazione”. Il cloud permetterà di semplificare la complessa situazione in versa l’infrastruttura pubblica che, soprattutto al Sud, si caratterizza per una una scarsa efficienza.