La distanza tra paese reale e paese virtuale non riesce mai a pareggiare il conto tra ciò che l’informazione riporta e ciò che la comunità nazionale vive. Se ciò è vero per tutti i settori dell’economia a maggior ragione lo è per il settore giustizia in generale e per il processo civile telematico (Pct) in particolare.
Così mentre da un lato abbiamo sentito il grido emergenziale di tutti i capi degli uffici giudiziari della Repubblica nel “rituale” dell’apertura dell’anno giudiziario 2015, dall’altro apprendiamo di statistiche ministeriali che magnificano i risultati ottenuti, in termini di costi, dall’introduzione della metodica del Pct.
Strano paese il nostro che non riesce a trovare, in nulla, equilibrio ed è sempre in moto perpetuo oscillante tra i due estremi dell’esaltazione del “fare” e del fulminio “disfare” anche quando la fonte del fare e del disfare è la stessa. E’ solo dal 1 gennaio che è divenuto vincolante, nei Tribunali, il deposito delle memorie endoprocessuali limitato ai fascicoli di nuovo conio, e già si grida che occorre asfaltare il Pct.
Se è vero che per il giudizio di appello la consolle del magistrato non è stata ancora sviluppata è pur vero che alle denunciate carenze di personale, e dei servizi, si farà fronte con le avviate procedure di mobilità del personale proveniente dalle provincie. Alla certezza dell’inadeguatezza della rete Giustizia di alcune sedi giudiziarie, fa da contro altare la certezza di altre, pubblicizzate, invece, come eccellenti sedi giudiziarie informatizzate.
Da un lato, poi, la quotidiana esperienza degli avvocati evidenzia difficoltà di approccio e all’utilizzo dei sistemi informatici e dall’altro vi sono gruppi, associazioni e studi legali che segnalano i benefici ottenuti grazie all’utilizzo del Pct.
Tutte queste discrasie sono condizioni, però, a ben guardare, che non attengono alla specificità del Pct ma corrispondono alla generale condizione che vive il paese, genuflesso ad un potere totale ed asfissiante che fa “ dell’apparire”, “del comunicare”, “ del rappresentare”, magari, a volte, anche in buona fede, dai vari esperti e conferenzieri, opinionisti, giornalisti di matrice varia, che non si preoccupano di “capire” ma solo di “divulgare” troppo spesso con rozze e superficiali analisi loro stati d’animo, giammai la complessità delle cose e dei processi di cui parlano e per i quali, a volte si ha la certezza dell’approssimativa conoscenza.
Così è evidente che se da un lato nella torrenziale corsa per l’avvio del processo civile telematico non si è tenuto conto di quanto da anni è stato segnalato dai giuristi informatici e cioè che tecnicamente avviare il Pct significa anche, costruire e aggiornare banche dati; digitalizzare documenti; gestire in forma telematica gli scambi informativi; saper utilizzare la consolle, il Polisweb la Pec e la firma digitale, dall’altro, come era già nella consapevolezza degli innovatori più illuminati, il Pct può essere efficacemente avviato e sviluppato solo se accompagnato da percorsi di formazione da erogare a favore degli attori (giudici, avvocati, cancellieri, personale) e degli utilizzatori (tecnici e ausiliari) del Processo.
Innovare nella giustizia non significa, infatti, solo digitalizzare, così come troppi pensano, l’esistente ma anche formare gli operatori del settore giustizia all’utilizzo consapevole dell’Information and Communication Technology e soprattutto semplificare la procedura.