Inizia la rivoluzione digitale nella Giustizia. Parte oggi il processo civile telematico così come previsto dal decreto 90/2014 pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta Ufficiale “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”. Va però precisato che l’obbligo scatta esclusivamente per le cause intentate d’ora in avanti, cioè a partire proprio da oggi 30 giugno 2014. Successivamente – dal 31 dicembre 2014 – la norma andrà osservata anche nei riguardi dei procedimenti già in corso alla data odierna, e, dunque, avviati prima del 30 giugno.
Le comunicazioni e le notificazioni delle cancellerie andranno emanate esclusivamente tramite Posta elettronica certificata. Entro i prossimi 60 giorni verrà presentato il decreto ministeriale con le informazioni pratiche per avviare l’applicazione del nuovo sistema. Il deposito degli atti andrà completato con ricevuta di avvenuta consegna entro il giorno di scadenza per la presentazione, mentre, qualora si renda obbligatorio l’invio di più mail tramite Pec, conterà l’ultimo per il rispetto dei tempi consentiti.
La scelta ministeriale di questo doppio binario temporale è stata motivata dal ministero della Giustizia proprio dalla volontà da un lato di evitare il rinvio all’ultimo minuto e dall’altro dall’intenzione di lasciare così ai Tribunali e agli avvocati (e allo stesso ministero) un supplemento di tempo per colmare le lacune organizzative, tecniche e in parte anche ancora culturali che potrebbero altrimenti fare fallire questo epocale passaggio dalla carta ai computer della giustizia civile.
Stando alle rilevazioni effettuate dal Csm, infatti, otto tribunali (Civitavecchia, Gorizia, Lecce, Pistoia, Vallo della Lucania, Velletri, Venezia e Vibo Valentia) su 140 senza servizi telematici attivi; il 40% degli uffici senza dotazioni hardware – pc soprattutto – efficienti e il 27% senza connessioni in grado di supportare il flusso documentale.
Problemi anche sul fronte delle dotazioni tecnologiche: solo il 33% degli uffici ha dichiarato che l’80% dei pc è efficiente mentre il 40% possiede computer malfunzionanti. Meglio, però, sul fronte dei portatili: nel 72% di Tribunali e Corti d’Appello – per ora queste ultime sono escluse dal processo online – l’80% dei laptop sono adeguati alle richieste del Pct .
Sul fronte connessioni Internet il 22% dei tribunale le ritiene insufficienti mentre un 5% addirittura “gravemente insufficiente”. La sufficienza alle connessioni la dà il 37% degli uffici (buona nel 32% dei casi, ottima nel 4%).
Per quanto riguarda l’assistenza IT, il Csm rileva che questa è gestita in outsourcing nel 69% dei tribunali e da personale interno nel restante 31%. Focus anche sulla soddisfazione del servizio: la metà (46%) di tribunali e Corti d’Appello afferma che i tempi di interventi sono rapidi mentre per l’altra metà questi sono lenti o addirittura è insoddisfatto a causa della lentezza. Per il 6% i tempi sono inaccettabili. Pochi anche gli avvocati che usano servizi telematici: il 90% degli studi legali li utilizza raramente. Altro intoppo tecnologico riguarda il sistema di disaster recovery che ancora non è stato impiantato a Milano.
Anche l’Anm (Associazione nazionale magistrati) aveva acceso i riflettori sulla criticità del Pct evidenziando la necessità di non “rottamare” del tutto i fascicolo e chiedendo di conservare comunque i documenti cartacei negli uffici di cancelleria.
I giudici considerano “necessaria” la tenuta del fascicolo di ufficio anche in modalità cartacea dato che le norme “delineano chiaramente a carico dei difensori un onere di deposito non solo dell’originale dell’atto, ma anche delle copie ad uso ufficio e dei componenti il collegio”. Secondo l’Anm “non sarebbe legittimo trasferire tale onere a carico dello Stato, mentre è indubbio che il giudice debba continuare a potersi avvalere del formato cartaceo per lo studio della causa e la redazione dei provvedimenti, sia a tutela della propria professionalità che della salute”.
Inoltre per evitare malfunzionamento del procedimento tutto i giudici chiedono la “definizione di una procedura standard e concertata per il rilascio di nuove patch degli applicativi, tale da ridurre i rischi di malfunzionamento e da assicurare una tempestiva informazione/formazione degli utenti”. Sul fronte hardware l’Anm accende i riflettori sulla necessità di di assicurare l’indispensabile dotazione hardware (postazioni fisse, pc portatili, monitor adeguati), ancora gravemente insufficiente, così come la disponibilità di scanner e stampanti per i servizi di cancelleria.
Infine la formazione, ancora – a detta dei magistrati – non sufficiente per affrontare uno switch off totale: nel documento si evidenzia la scarsità di personale, sia dal punto di vista numero sia di competenze digitali, nelle cancellerie. Situazione che giustificherebbe il permanere della carta nei tribunali.
Anche gli avvocati italiani, per parte loro, mostrano di avere molta strada da fare: nell’ultimo anno hanno depositato almeno un atto online soltanto 25.000 avvocati, quando la categoria è composta da 236.000 professionisti. Eppure qualcosa faticosamente si muove: il numero degli atti online depositati dai legali è comunque salito nell’ultimo un anno da 30.000 a 50.000, così come i magistrati in 12 mesi hanno raddoppiato i loro atti telematici da 66.000 a 120.000. Ci sono però anche le dolenti note, e sono quelle fiscali: annunciare che la giustizia civile telematica cela in realtà il fatto che il decreto-legge Renzi aumenta in media del 15% il già più volte innalzato «contributo unificato», cioè quello che bisogna pagare allo Stato per poter avviare una causa civile: a seconda degli scaglioni di valore si pagherà ad esempio 43 euro (invece di 37) su quelle di minor valore, 518 (invece di 450) su quelle di medio valore, fino a 1.686 euro (invece di 1.466) su quelle di maggior valore.