Procurement, le aziende: “Serve una strategia parallela”

I player dell’Ict pronti a collaborare con la PA per rilanciare l’innovazione. Focus su project financing e sul rafforzamento del ruolo della consulenza

Pubblicato il 23 Mag 2011

Se l'Ict di qualità non decolla c'è anche una
responsabilità delle imprese di settore? Alla domanda provano a
rispondere sette manager di punta che sottolineano i limiti delle
procedure di gara pubbliche e rivelano la loro ricetta per fare
della PA il motore dell'innovazione.

Luigi Freguia (Ad di Hp Italia): "Non sia solo il
prezzo il parametro di scelta

Per fare in modo che la PA acquisti innovazione e riesca a
“fare” innovazione è necessario eliminare le ridondanze
tipiche dell’amministrazione italiana: ad esempio, la PA potrebbe
chiedere una sola volta, periodicamente, la documentazione di gara
che oggi è richiesta ad ogni partecipazione. Altro punto cruciale
è la valutazione del cosiddetto “risk reward”, assegnando le
gare non solo sulla base della convenienza del prezzo, ma anche
giudicando l’aggiudicatario per competenze, capacità, qualità
di esecuzione. Infine la questione del “rapporto” con il
settore pubblico deve essere qualitativamente migliore, con momenti
di confronto per qualificare la domanda e l’offerta di
innovazione e per definire grandi progetti, andando oltre il
semplice acquisto di tecnologie. HP Italia è disponibile a creare
le “fabbriche digitali” specializzate, centri per lo sviluppo
di servizi condivisi a sostegno dell’innovazione della PA,
rilasciati in forma di software open source per essere utilizzato
direttamente dall’amministrazione, da appaltatori, o in modalità
“Cloud” da Cloud Service Provider. Questa forma di partnership
tra pubblico e privato, che in altri Paesi europei ha contribuito a
realizzare innovazione con valore anticiclico nelle fasi di crisi,
può contribuire a creare posti di lavoro specializzati, con
particolare rilevanza per favorire l’occupazione giovanile in
settori a valore. In Italia si può agire in questa direzione ma
bisogna definire ed avviare al più presto il percorso.

Michele Liberato (presidente Emc italia e Vp Accenture):
"Grandi progetti traino di domanda
qualificata"

Perché la Pubblica amministrazione possa percorrere con successo
la strada verso l’innovazione, raggiungendo quegli obiettivi di
efficientamento che si è preposta, è necessario che il comparto
pubblico e i player si mettano a tavolino per definire e
qualificare le caratteristiche della domanda e dell’offerta di
Information & Communication Technology. Ma per fare questo è
altresì necessario che sia imprese sia le PA abbiano ben chiaro in
mente che l’innovazione deve essere non tanto lo strumento, ma
l’obiettivo di ogni progetto da mettere in campo. Progetto che
non può che essere un “grande” progetto riformatore nel modo
di fare il servizio pubblico e di farlo funzionare: non si fa
innovazione per piccoli progetti. In questa prospettiva, a mio
avviso, sarebbe interessante mettere nero su bianco dieci grandi
iniziative da realizzare nei prossimi tre anni con la
collaborazione di tutte le imprese Ict che operano in Italia per
digitalizzare e modernizzare alcuni comparti, come gli archivi.
Prendiamo, ad esempio, i documenti disponibili nell’Archivio di
Stato: perché non pensare a un progetto di digitalizzazione di
quel prezioso tesoro storico, magari anche coinvolgendo i grandi
istituti di credito che potrebbero ricoprire il ruolo di sponsor e
finanziare in parte l’iniziativa? Sarebbe davvero una grande
progetto in grado di coinvolgere il meglio delle aziende che
operano in Italia e – perché no- anche l’indotto delle piccole e
medie imprese innovative italiane che rappresentando l’architrave
del nostro sistema economico. E certamente, in un contesto così
caratterizzato, diventa fondamentale il ruolo delle aziende che
devono “educare” la pubblica amministrazione ad acquistare ciò
che realmente serve per l’innovazione di processo e di
prodotto.

Alfieri Voltan (presidente di Siav): "La chiave di
volta gli e-documenti di gara"

Non si può negare che in Italia esistano meccanismi di gara molto
complessi e costosi sia per le imprese, che devono creare speciali
reparti per seguire le gare, ma anche per gli stessi enti, che
devono incaricare consulenti dall’esterno. Meccanismi che
contribuiscono a ridurre la capacità innovativa dei progetti messi
in campo con gare pubbliche. Cosa fare per rendere più agevoli le
gare? A mio avviso sono quattro le azioni da mettere in campo per
alleggerire il quadro. Prima di tutto aumentare la soglia delle
assegnazioni dirette per le forniture Ict, come è già avvenuto in
altri settori; obbligare solo il vincitore dell’appalto a
presentare la documentazione di identificazione della società;
orientare, poi, i partecipanti ai concorsi a presentare tutta la
documentazione richiesta per partecipare alla gara esclusivamente
in formato digitale, come previsto dal nuovo Cad, con importanti
impatti sul versante delle semplificazione. Infine bisogna fare in
modo di rendere la “misura” della qualità della fornitura non
solo obbligatoria per legge, ma soprattutto farla oggetto di
punteggio in gara, ovvero parametro di valutazione della scelta,
sganciandosi dalla “dittatura” del prezzo. Gli amministratori
non sarebbero più portati a scegliere come vincitore
dell’appalto il fornitore che applica il prezzo più basso. Ma
queste azioni mirate, da sole, non credo bastino a sostenere la PA
nello scegliere il meglio dell’innovazione in termini di prodotto
e di processo. Credo che sia importante agire anche sul contesto
produttivo in senso lato. Come? Riqualificando il ruolo delle
università come strutture di ricerca, agevolandone i rapporti con
le imprese tramite la prassi degli spin off, che se in Italia
stentano a decollare, negli Stati Uniti e in Germania sono il
motore dell’innovazione.

Antonio Amati (Dg divisione IT di Almaviva):
"Rispolveriamo il Pf stile Lottomatica"

La mancanza di risorse economiche ha fatto si che progressivamente
gli interventi di mantenimento siano divenuti prevalenti,se non
esclusivi, su quelli d’innovazione. In questo contesto nelle gare
pubbliche il prezzo diventa parametro di scelta – e questo è
indipendente dal fatto che la gara si basi sull’offerta
economicamente più vantaggiosa o meno. Se – permettetemi
un’analogia con i criteri di spesa degli individui
nell’acquisto dei beni durevoli – dobbiamo acquistare una nuova
automobile, saremo portati a prendere in considerazione valori
esteteci e di innovazione tecnica accanto a quelli del prezzo;
totalmente diverso è se la scelta ha per oggetto un intervento di
manutenzione della carrozzeria o del motore: il prezzo diverrà
elemento principale della nostra scelta. Tornando all’IT possiamo
dire che ci siamo trasformati in meri “manutentori” delle
piattaforme IT piuttosto che rafforzarne il ruolo di driver
dell’innovazione. Come agire per cambiare questo stato di cose?
Al di là delle necessarie modifiche in campo procedurale serve
valorizzare nuovi meccanismi di acquisto dell’innovazione da
parte delle PA. Penso, al project financing che garantisce il
reperimento di risorse qualificate per progetti qualificanti.
Bisogna trovare il modo di coinvolgere il sistema bancario nel
sostegno all’innovazione. Le banche oggi sono latitanti perché
nei progetti di innovazione pubblica è difficile identificare il
soggetto pronto ad assumere la governance dei rischi legati
all’iniziativa. Il ruolo che può ricoprire il project
financing(Pf) è di fondamentale importanza. L’Italia può
vantare un primato su una iniziativa di Pf che dieci anni fa ha
dato ottimi risultati, quella di Lottomatica; iniziativa che però
non è stata replicata negli anni successivi, tanto che il Pf è
rimasto nel cassetto. Ma è arrivata l’ora di tirarlo fuori
soprattutto per utilizzarlo nel settore Salute: perché non
rilanciare il Pf per realizzare il progetto di prescrizioni mediche
elettroniche? Inoltre sarebbe utile identificare dei comparti
quick-win in cui sperimentare una forma di hi-tech public
procurement, come la Difesa e la Sanità, in cui gli Stati Uniti,
ad esempio, hanno ottenuto ottimi. Infine – aspetto non secondario
– bisogna trovare al più presto una soluzione alla questione dei
pagamenti: oggi la PA paga, quando va bene, un anno dopo l’avvio
del progetto messo a gara. Tempi così dilatati contribuiscono
negativamente sulla capacità di investimento delle imprese e, di
conseguenza, sulla possibilità della PA di fruire di soluzioni al
passo con i tempi.

Agostino Santoni (Ad di Sap Italia): "Il knowledge
transfer è il valore aggiunto"

L’attuale contesto normativo, con tutte le conseguenza
burocratiche che ne derivano, è un freno alla capacità di offrire
innovazione, da parte dei player di settore, e di fruire e fare
innovazione, da parte delle pubbliche amministrazioni. Ben venga
dunque la logica della valutazione del risultato (e quindi del
business) come parametro di valutazione ogniqualvolta si presenta
un progetto e si va a gara per realizzarlo.
Ma insieme alla valutazione ex ante ed ex post di un progetto,
credo sia fondamentale puntare sul “knowledge transfer”, ovvero
sulla capacità delle aziende di trasferire le proprie competenze
alle pubbliche amministrazioni, sganciandosi dal ruolo di semplice
manutentore di tecnologia, a cui sono spesso relegate.
Quello che serve alla pubblica amministrazione per capire
“cosa” chiedere ai fornitori dipende in larga parte dalla
capacità dello stesso fornitore di “spiegare” qual è il
valore aggiunto delle proprie soluzioni. In altre parole le aziende
devono rafforzare – e la PA lo deve permettere – il proprio ruolo
di consulenti. Per questo è importante trovare dei canali di
comunicazione continuativi tra il settore pubblico e il mercato.
Infine c’è la questione del benchmarking. Cosa stanno facendo
gli altri Paesi europei? Bisogna non solo chiederselo, ma anche
studiare le iniziative messe in campo, le best practice che in
Europa non mancano, come dimostrano la Gran Bretagna e Spagna che
hanno modernizzato e reso più snelli i processi. C’è poi la
questione di quanto spendono le imprese per gestire una gara
pubblica: devono dirottare risorse su uffici appositamente
strutturati, risorse che, se le procedure di bando venissero
semplificate, potrebbero essere dirottate invece su investimenti
dedicati all’R&S e all’aggiornamento del personale, pilastri di
un ruolo di consulenza, come già detto, necessariamente da
rilanciare.

Cesare Avenia (Ad di Ericsson italia): "Parola
d’ordine outsourcing"

Non si fa innovazione senza una progettualità condivisa e
sistematizzata. Il che vuol dire prima di tutto innovare le norme
con l’intento di sburocratizzare le procedure, rivedere i criteri
di valutazione dei progetti nell’ottica del risultato più che
della iniezione di tecnologia e, infine, definire dettagliatamente
ciò che compete alla pubblica amministrazione e cosa non le
compete. In altre parole focalizzare l’attenzione su quello che
è il core business dell’ente, ovvero erogare il servizio
innovativo, dando allo stesso tempo in capo ai player alcune
prestazioni in outsourcing a valore aggiunto, utili
all’erogazione del servizio stesso. Ecco, credo che rivedere il
quadro della domanda e dell’offerta nel suo complesso, al di là
della legame fornitura-utilizzo sia un decisivo e imprescindibile
passo da fare.
Ma questo si riesce a realizzare con successo se si trovano canali
di comunicazione continua tra le imprese e le pubbliche
amministrazioni sia per garantire alla pubblica amministrazione di
“toccare con mano” il valore di ciò che compra sia per
permettere ai fornitori di presentare, al momento della gara, la
soluzione più adatta alle esigenze dell’ente che intende
innovare servizi e procedure interne. In ultima analisi
l’innovazione passa anche per la capacità di scambio e confronto
tra gli attori in gioco: questo vale nel settore privato, ma deve
valere ancora di più in quello pubblico dove è in gioco tutto il
sistema Paese.

Sergio Rossi Ad di Oracle Italia): "Focus su procedure
snelle e costi controllati"

Meno burocrazia e maggiore facilità di accesso alle gare. Credo si
possa sintetizzare così la ricetta per rilanciare l’innovazione
pubblica. Data per assodata la necessità che gli enti preposti si
impegnino ad alleggerire la burocrazia che caratterizza i bandi di
gara pubblici, c’è da chiedersi: in questo quadro cosa possono e
devono fare le imprese che operano nel comparto Ict?  Per prima
cosa devono, almeno a mio avviso, contribuire a creare un clima di
collaborazione con il settore pubblico per definire grandi progetti
innovativi all’interno dei quali i due partner possano mettere a
servizio del Paese le proprie competenze. Ma da dove deve partire
questa cooperazione? In primis dalla standardizzazione delle
architetture e dal controllo preventivo dei costi, aspetto,
quest’ultimo, determinante nella valutazione dei risultati
dell’innovazione. Obiettivo in alcuni casi già raggiunto con la
stretta collaborazione con le entità preposte al servizio (ad
esempio Consip e Sogei per la pubblica amministrazione centrale le
società di insourcing per le Regioni ). In questo modo, con grandi
progetti, gare più snelle e costi controllati, la pubblica
amministrazione sarà in grado di liberare risorse da destinare a
servizi più qualificanti; dall’altro lato le imprese potranno
liberarsi dal peso degli alti costi di partecipazione ai bandi di
gara pubblici, il più delle volte dirottati su uffici ad hoc
dedicati alla gestione delle gare.

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