E-SKILLS

Radaelli: “Senza esperti in nuove tecnologie si rischia la jobless recovery”

Il presidente di Anitec lancia l’allarme: “Se non si colma il gap di competenze si assisterà a una ripresa senza nuovi posti di lavoro”. Scuola, formazione continua nelle università e nelle imprese i punti salienti del piano dell’associazione

Pubblicato il 05 Mar 2014

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Scuola, transizione al lavoro, formazione continua e inclusione digitale. Sono questi gli strumenti che l’Italia deve utilizzare per recuperare il gap sulla preparazione all’uso di nuove tecnologie e scongiurare la “jobless recovery” ovvero una ripresa economica senza lavoro. È quanto emerso oggi al convegno organizzato da Anitec su Agenda digitale e alfabetizzazione organizzato da Anitec che ha annunciato la sua adesione ai due progetti formativi europei “E-Skills for Jobs 2014” e “Fostering Digital Entrepeneurship”. Le due iniziative sono entrambe state affidate a DigitalEurope, di cui Anitec fa parte come riferimento per l’Italia. Si tratta di due distinti progetti di alfabetizzazione digitale: il primo è orientato al mondo dell’Istruzione, per sensibilizzare studenti e docenti a un miglior uso delle nuove tecnologie e soprattutto alla conoscenza delle possibilità professionali ad esse correlate; il secondo dedicato alle imprese.

“Lo sviluppo delle competenze digitali nella scuola e nel lavoro – sottolinea il presidente di Anitec, Cristiano Radaelli – è il vero driver del rilancio economico italiano e uno dei punti per accrescere la competitività del sistema Italia nel contesto europeo. Attraverso i progetti europei di alfabetizzazione digitale possono essere potenzialmente raggiunti più di 600 scuole e un milione di studenti”.

Secondo i dati resi noti, in Italia le lauree, sia di primo sia di secondo livello, in materie Ict rappresentano l’11,48% sul numero degli iscritti (2010) contro il 13% dell’area dei paesi euro, mentre i laureati italiani nelle materie legate all’Ict costituiscono l’11,26% dei laureati contro il 14,65% dell’area dei paesi euro. In questo contesto la scuola gioca un ruolo chiave. Insieme all’adozione di strumenti tecnologici è necessario fare dei passi in avanti in termini culturali: le tecnologie devono aiutare gli studenti ad aumentare le proprie conoscenze, sviluppare idee innovative, stimolare il proprio senso critico e la capacità di confrontarsi con gli altri. La qualità della formazione per gli insegnanti, la diponibilità di piattaforme digitali accessibili e condivise e l’inserimento della programmazione software tra le materie di studio risultano elementi di primaria importanza.

Sul fronte della transizione al lavoro, Anitec evidenzia la necessità di rinforzare l’istruzione tecnico-scientifica finalizzata a questo tipo di competenze deve costituire una priorità. “Ciò si scontra purtroppo con una realtà non certamente rosea, perché, ad esempio, dei 59 Istituti Tecnici Superiori presenti nel nostro paese, so lo 6 sono dedicati all’ Ict, e questi sono presenti in sole 6 città, tutte del Centro Nord – spiega Anitec in una nota – Non vi è nulla in Sicilia, che pure vanta una presenza industriale importante nel settore della microelettronica, o in regioni come la Puglia o la Campania”.

E’ quindi necessario riorientare l’offerta formativa delle scuole secondarie superiori e delle università e i relativi percorsi scuola – lavoro verso settori a maggiore intensità tecnologica. Seppure nel nostro paese siano in corso alcune valide iniziative intraprese da parte di alcuni istituiti con il supporto del sistema delle imprese, occorre superare la fase della sperimentazione volontaristica e passare ad un grande proget to strategico in partnership con il privato, specie nel settore Ict, che contribuisca a risolvere i problemi dell’alto tasso di abbandono scolastico, della disoccupazione giovanile e del fenomeno dei giovani senza istruzione né lavoro, i cosiddetti Neet (Not engaged in Education, Employment or Training) quantificati in Italia in circa 2,5 milioni di persone.

La rapidissima evoluzione delle tecnologie e dei relativi modelli di business, crea continue sfide per le aziende e per i lavoratori che devono dimostrare una forte vocazione all’innovazione e alla flessibilità. Per questo è necessario, anche per i lavoratori in attività, un sistema di formazione continua che consenta alle risorse umane di utilizzare al meglio i più moderni strumenti tecnologici, ma anche di adattarsi a strutture organizzative in continua evoluzione. Inoltre, l’attesa maggior flessibilità nei contratti di lavoro richiede che le persone che ambiscono all’occupazione e quindi alla possibilità di nuova occupazione quando uscite da una precedente esperienza, dispongano di competenze interessanti e in linea con quelle richieste dal mondo del lavoro.

“La formazione continua non è già più un vezzo, ma la necessità quotidiana di ciascuno – spiega Radaelli – Esistono oggi più di 3 milioni di persone in uscita dalla loro attuale occupazione, le quali, senza competenze digitali, hanno poche possibilità di ritrovare un lavoro, e possibilità praticamente nulle di trovare un lavoro qualificato”. Per supportare la formazione continua e favorire la “rioccupabilità” occorre sviluppare una cultura basata sulla necessità personale di aggiornamento continuo e promuovere una giurisprudenza e una cultura dove il fallimento aziendale o dell’iniziativa di business non si traduca nel fallimento personale.

“La mancanza di disponibilità di connessioni a banda veloce rappresenta un vincolo tecnico allo sviluppo di impresa in diverse zone del Paese – puntualizza Radaelli – La combinazione di mancanza di connessioni e di competenze adeguate è ciò che viene comunemente definito come digital divide, che deve essere superato al più presto. Una maggiore conoscenza da parte di tutti i cittadini sull’utilizzo degli strumenti tecnologici e sulle loro potenzialità è uno straordinario volano per stimolare anche la Pubblica amministrazione a sviluppare servizi basati sulle piattaforme digitali, generando così un circolo virtuoso per lo sviluppo complessivo del Paese. Il digital divide, esistente in Italia anche dal punto di vista delle competenze, oltre che determinato da disomogeneità territoriali, risulta fortemente correlato anche all’invecchiamento della popolazione”. E per contrastarlo, si può procedere con alcune iniziative di tipo formativo, sulla base della collaborazione fra pubblico e privato.

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