Il governo continua la strada verso la digitalizzazione della
pubblica amministrazione. Uno degli ultimi provvedimenti a riguardo
è quello che riguarda l’approvazione del nuovo Codice
dell’amministrazione digitale, versione “bis” di quello del
2005. “Che tuttavia non prevede nessuna autorità incaricata di
controllare il rispetto dei tempi e dei contenuti, né prevede
sanzioni, oltre a mutuare indicazioni e scadenze già introdotte in
passato”, incalza subito Claudio Russo,
assistente alla ricerca del Politecnico di Milano che si occupa di
pubblica amministrazione.
Russo, a fine 2010 è stato approvato questo nuovo Codice,
aggiornando una normativa del 2005. Perché è stato
necessario?
Lo ha spiegato lo stesso ministro Renato Brunetta: la situazione
generale è cambiata dal 2005, quando fu pubblicata la prima
versione del codice. Si sono evolute le tecnologie informatiche,
soprattutto sono mutati i bisogni degli utenti della Pubblica
amministrazione e sono da considerare anche le forti limitazioni
della capacita di spesa intervenute negli enti pubblici oltre alle
minori possibilità di finanziamento pubblico.
Quali sono i punti critici che potrebbero rallentarne
l’applicazione?
La criticità principale è che il nuovo codice non prevede alcuna
autorità incaricata di controllare che i tempi e soprattutto i
contenuti minimi previsti dalla legge vengano rispettati: non sono
contemplate neppure sanzioni verso gli enti che non rispetteranno
le prescrizioni del decreto e, in un simile contesto, è lecito
dubitare che le intenzioni possano tradursi in risultati efficaci.
Poi, si ritrovano indicazioni e scadenze già introdotte da decreti
e norme precedenti, che si collocano temporalmente tra il vecchio e
il nuovo codice: ad esempio si prevede che le pubbliche
amministrazioni utilizzeranno soltanto la posta elettronica
certificata per tutte le comunicazioni che richiedono una ricevuta
di consegna ai soggetti che hanno preventivamente dichiarato il
proprio indirizzo. Ma questo obbligo era già stato stabilito nel
2008.
Alla fine dello scorso marzo il ministero ha trovato dei
primi fondi da utilizzare per favorire l’applicazione del nuovo
Codice. Saranno sufficienti?
I 20 milioni di euro individuati a fine dello scorso anno e
assegnati a marzo non sono che l’inizio. L’applicazione del
codice avrà sicuramente bisogno di risorse di ben altra entità e
non solo economiche. Fondamentale, infatti, sarà anche il modo in
cui tali risorse verranno assegnate, in modo da premiare le
amministrazioni più virtuose e più competenti. Due gli elementi
chiave: l’attribuzione dei finanziamenti ad amministrazioni in
grado di svolgere un ruolo di aggregatore e la capacità del
sistema di sfruttare l’abbrivio che sarà generato da questa
prima ondata di finanziamenti.
Oltre alle risorse economiche, cos’altro servirebbe? Qual
è la chiave perché si giunga ad un’applicazione uniforme e non
a macchia di leopardo?
Sarebbe opportuna l’individuazione di linee guida specifiche per
tutti i soggetti, con indicazioni operative chiare e comuni in
grado di orientare ciascun ente verso il conseguimento dei
risultati fissati entro le scadenze indicate. Anche un sistema di
premi e incentivi per gli enti virtuosi potrebbe costituire un
vantaggio. Sempre in tema di concretezza, ci sarebbe la necessità
– non presa in considerazione dal Codice – di formalizzare una
governance condivisa, che supporti, in modo particolare, i comuni
più piccoli, in modo da ridurre il digital divide fra enti di
diversa dimensione. Si tratta di un problema tutt’altro che
trascurabile, soprattutto alla luce delle attuali ristrettezze
della finanza locale, se si pensa che i comuni con meno di 5mila
abitanti, quelli che solitamente vengono definiti come
“piccoli”, sono 5.962, sugli 8.094 complessivi, ossia sono la
maggioranza.
Quali vantaggi potrebbe portare l’applicazione del nuovo
codice?
L’incidenza della spesa pubblica sul Pil nel 2009 era del 51,9%,
in aumento rispetto al 2008, quando equivaleva al 48,8%; gli
analisti sostengono che attraverso la digitalizzazione si potrebbe
generare un recupero pari a oltre il 2%. Ecco, il Codice
dell’amministrazione digitale si muove proprio in questa
direzione, con lo snellimento della macchina amministrativa,
l’aumento del livello di servizio erogato all’utenza e il
risparmio economico. Secondo le stime del Ministero, con la sua
attuazione si registrerebbero una riduzione dei tempi per le
pratiche amministrative di quasi l’80% e un risparmio del 90% dei
costi della carta (circa 6 milioni di euro annui). A sostegno di
questa tesi, c’è uno studio condotto da un’importante
provincia lombarda su un comune di circa 30mila abitanti, che ha
identificato un risparmio derivante dall’introduzione della Pec
pari a poco meno di 110mila euro.
Russo (Polimi): “Senza sanzioni il Cad rischia il flop”
Il ricercatore del Politecnico di Milano elenca i punti deboli del provvedimento: “Manca un’autorità di controllo che vigili sull’applicazione e le risorse economiche non bastano”
Pubblicato il 05 Apr 2011
Canali
EU Stories - La coesione innova l'Italia