Serracchiani: “Agenda digitale, Regioni snodo della governance”

Il presidente del Friuli Venezia Giulia e delegato delle Regioni alla Cabina di regia: “I piani digitali locali devono rafforzare l’Agenda nazionale per armonizzare la diffusione dei servizi”

Pubblicato il 16 Dic 2013

«La cabina di regia può rappresentare un importante driver di accelerazione per l’innovazione del sistema Paese che ha bisogno di una riduzione molto forte del peso della burocrazia, autentico freno alla crescita e allo sviluppo del Paese». Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia, spiega come si muoverà in qualità di delegato delle Regioni alla cabina di regia per l’Agenda digitale.

L’Italia soffre un ritardo rispetto ai più importanti paesi Ue sull’attuazione dell’Agenda digitale. C’è un punto fermo da cui ripartire?

Credo che il punto da affrontare prima di altri è quello della formazione digitale per cittadini e imprese. A questo proposito un progetto di riferimento può essere Go On Italia, un’iniziativa che, finalmente, cambia il punto di vista dell’Agenda: si tratta di impostare la progettualità sulle persone e non prioritariamente sulle infrastrutture. Perché il ritardo sulla banda ultralarga c’è, ed è grande, ma non è per questa ragione che – per fare degli esempi – ancora poche aziende italiane vendono online oppure che tanti italiani non hanno mai usato internet o ancora che la Pubblica amministrazione stenta ad andare avanti sul digitale. C’è un gap di formazione colossale e se non partiamo da lì in Italia la rivoluzione digitale non decollerà mai. In Friuli Venezia Giulia ci stiamo provando.

Cosa state facendo nel dettaglio?

La Regione ha aderito al programma Go On Italia con l’obiettivo di aiutare i cittadini a crescere attraverso e con la rete internet, per aprirsi a nuovi mercati ma soprattutto per aprire nuovi mercati. Stiamo avviando un programma volto a favorire l’utilizzo del web nel lavoro, nella scuola, nella Pubblica amministrazione, nella vita di tutti i giorni, sull’esempio di quanto già da tempo avviene in altri Paesi europei, la Gran Bretagna in primis. Per modernizzare il Paese occorre “rivoluzionare” il modo di lavorare, compiendo un autentico salto di qualità verso la cultura digitale. Parallelamente puntiamo a fare un forte investimento sulle imprese, specie le medie, le piccole, le micro, prevedendo anche dei “tutor” per introdurle e accompagnarle nelle nuove prospettive. Per vincere la sfida dell’innovazione è indispensabile che tutti i diversi portatori di interesse – istituzioni, fondazioni, privati, società – si mettano insieme e facciano un programma di formazione digitale di sistema.

In questa prospettiva qual è il contributo che possono dare le Regioni alla realizzazione dell’Agenda digitale?

Il contributo è ovviamente quello dei singoli piani digitali territoriali elaborati in linea con quanto previsto dalla Commissione europea. A mio avviso, però, il tema vero riguarda la governance, ovvero la modalità di collaborazione tra i diversi livelli di governo: un modello proponibile potrebbe vedere le agende digitali regionali come declinazione e rafforzamento dell’Agenda digitale italiana. La governance deve fondarsi sulla capacità delle Regioni di gestire da un lato, una vera e propria rete di “program management” per governare gli sviluppi di soluzioni e servizi fra i diversi livelli ed i diversi attori; dall’altro, un sistema strutturato e stabile che supporti la partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti nei processi, creando un ambiente di condivisione della conoscenza, di scambio e valorizzazione di esperienze e creazione di innovazione. Nessuna seria iniziativa sul digitale può prescindere da questo.

Spesso le Regioni proseguono a doppia velocità sulla realizzazione dell’Agenda. C’è qualcosa che si può fare per evitare gap fra territori diversi?

Per uno sviluppo armonico è necessario proseguire il lavoro condiviso su standard e linee guida sia a livello nazionale – dall’Agenzia per l’Italia digitale – sia interregionale – dal Cisis – sia all’interno di ogni singolo territorio – tramite, ad esempio, le Community Network regionali – con un metodo sempre più aperto e trasparente, attingendo all’intelligenza collettiva attraverso procedure di partecipazione e consultazione pubblica, evitando di incardinare in regolamenti rigidi contenuti di natura tecnologica soggetti a continua evoluzione. Non va dimenticato che le Regioni sono anche il livello ottimale su cui perseguire politiche di riuso sia del software sia delle prassi. Infine, ma non meno importante, occorre elaborare un quadro stabile nelle forme di pianificazione per il digitale sulla falsariga dei Piani regolatori e delle Opere Pubbliche.

Ma oltre la governance c’è un altro tema delicato che è quello delle risorse. In tempi di crisi e di vincoli del patto di stabilità come si possono reperire in fondi per la programmazione digitale?

Credo che in questa fase la chiave di volta sia la programmazione 2014- 2020 dell’Unione europea, da raccordare con fondi nazionali e regionali, nonché le risorse derivanti da Horizon 2020. In quest’ultimo caso si tratta di 30 miliardi che l’Unione europea destinerà all’Italia. Insieme al ministero per la Coesione Territoriale e al Mise si sta studiando una pianificazione “anti-spreco”. L’Italia non può permettersi di ripetere l’errore fatto con il Piano per la Società dell’Informazione 2007-2013 quando la Ue ci aveva destinato circa 58 miliardi, dei quali ne sono stati spesi solo 18. Oltre ai fondi pubblici, europei e non, si può pensare di fare leva sul pre-commercial procurement o a partnership pubblico-privato per trovare le risorse per fare innovazione e coinvolgere le imprese sul territorio.

Il suo punto di vista sui fondi è in linea con quanto detto da Caio e Ragosa. È d’accordo anche sulla priorità da dare a tre progetti chiave quali la fatturazione elettronica, l’identità digitale e l’anagrafe unica?

Mi paiono tre progetti abilitanti soprattutto per la PA digitale. Quindi è un bene avere dato loro una priorità. Ovviamente tutto questo non sarà possibile senza un corposo progetto di consolidamento dei data center, anche a livello regionale, per renderli maggiormente efficienti ed interoperabili.

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