IL FOCUS

Smart working, addio a uffici e scrivanie. Ecco i pionieri del lavoro agile

Da Unicredit a Vodafone, passando per Bayer e American Express, le aziende che hanno inaugurato la nuova flessibilità, con migliaia di lavoratori impegnati

Pubblicato il 06 Nov 2015

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Nella migliore delle ipotesi, l’espressione lavoro agile è generalmente percepita in Italia come una componente delle attività aziendali di responsabilità sociale: si concede maggiore flessibilità ai propri collaboratori per aiutarli a comporre meglio il cosiddetto work-life balance, si promuovono politiche che tendono a parificare le opportunità tra uomini e donne, si avviano infine programmi che abbattendo tempi e costi di spostamento possono avere un impatto positivo sull’ambiente. Raramente si parla di aumento della produttività, ottimizzazione dei budget, rinnovamento culturale del management e dell’organizzazione in senso lato, sostegno all’evoluzione dei modelli di business per andare incontro alle nuove esigenze dell’economia digitale. In questo senso, un primo esplicito accenno lo si trova nell’articolo 1 del ddl che il governo ha allegato alla legge di Stabilità, ma sono le aziende che hanno già adottato questo approccio operativo le voci che meglio possono definire i benefici reali prodotti dall’adozione di pratiche di smart working. CorCom ha potuto incontrare alcuni dei pionieri che a vario titolo e in tempi non sospetti hanno avviato questa trasformazione in occasione di due convegni tenutisi a Milano negli scorsi giorni. Il primo, intitolato “Smart Working: scopriamo le carte!”, ha presentato i risultati della ricerca 2015 realizzata dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, mentre il secondo, “Job Act: tra controllo e smart working”, ha fatto il punto sulla cornice normativa e sulle linee da seguire anche rispetto all’inserimento delle nuove pratiche nella contrattazione.

OLTRE LA RIORGANIZZAZIONE DEGLI SPAZI

Una delle case history più interessanti è senz’altro quella di Blue work, il progetto avviato da American Express a febbraio 2013 col quale il colosso dei circuiti di credito ha sfruttato il cambio di sede per offrire ai propri 1.100 collaboratori strumenti che anche nel resto del mondo sono stati adottati da poche altre filiali. “Si è trattato di un piano a 360 gradi, con il coinvolgimento di tutte le leve che contraddistinguono una realtà come la nostra, multinazionale ma con un forte radicamento sul territorio, visto che siamo in Italia dal 1900”, spiega Melissa Peretti, country manager di American Express per la Penisola. “Non è un progetto di real estate e di ripensamento degli spazi, è una filosofia attraverso la quale si cambiano le relazioni tra azienda e dipendenti, puntando sulla responsabilizzazione degli individui. Abbiamo impiegato un anno per passare alla fase operativa, e si è rilevato fondamentale attivare elementi di sponsorship sul progetto non solo rispetto al top management, ma a ogni strato aziendale, con l’istituzione di una serie di champion che comunicassero in senso bidirezionale, a tutti i livelli, il progresso del progetto e i feedback che generava. Abbiamo infine creato un sito Web ad hoc e predisposto con le Risorse umane una newsletter mensile per stimolare il dibattito interno. Le difficoltà maggiori, forse un po’ a sorpresa, le abbiamo riscontrate nell’atteggiamento del middle management, inizialmente piuttosto scettico all’idea che i collaboratori potessero lavorare bene anche senza controllo diretto”. I risultati? Se sul piano della produttività i dati non sono ancora disponibili (proprio in questi giorni è in corso un’indagine conoscitiva, mentre un team crossfunzionale sta valutando come espandere ulteriormente il progetto), dal punto di vista dell’engagement, dell’efficienza e della riduzione dei costi i vantaggi sono già tangibili: “Oggi più di 300 collaboratori ogni giorno non prendono l’auto, mentre gli altri raggiungono la nuova sede di Fiumicino in base alle reali necessità di presenza in ufficio, prenotando la propria scrivania o sistemandosi in aree comuni o in speciali focus room, a seconda dell’esigenza”, precisa Peretti. “In questo modo siamo riusciti a ridurre le scrivanie del 30%. Direi che non solo non c’è stato rigetto all’operazione, ma che stiamo anche attraendo nuove risorse, con un sensibile aumento delle domande di impiego da parte dei giovani talenti. Non ultimo, abbiamo gestito il cambio di headquarter in maniera ottimale”.

RIDURRE LE DISTANZE, AUMENTARE LA FLESSIBILITÀ

Ubis, la società globale di servizi di Unicredit, di addetti ne ha invece circa 10 mila dislocati in nove sedi in Europa. In Italia ci sono oltre 4.000 persone che svolgono mansioni a cavallo di Ict, back office, real estate e procurement. “Volendo concentrare i collaboratori in un minor numero di edifici all’interno delle grandi città, abbiamo cercato nuovi layout operativi”, spiega Antonio Beraldi, responsabile delle Relazioni industriali del gruppo. “Una volta appurato che 2.000 impiegati erano nelle condizioni logistiche per partecipare a progetti di lavoro agile, abbiamo avviato un percorso che ha portato a settembre 2015 500 collaboratori in smart working per due giorni al mese. L’ambizione è di arrivare a un giorno a settimana”. Anche nel caso di Ubis è stato necessario accompagnare il cambiamento culturale del management, non troppo ben disposto a questo genere di innovazione. “Abbiamo chiesto appoggio al Politecnico di Milano”, dice Beraldi, “che ha fornito ai dirigenti dati inconfutabili sulla produttività fuori dall’ufficio e sui tassi di dispersione che contraddistinguono anche il lavoro svolto in azienda”. L’esperienza di Ubis, va detto, è forte di una serie di strumenti e pratiche già diffuse nell’organizzazione a partire dal 2012, quando un centinaio di dipendenti avevano attivato con il gruppo accordi individuali. “Non di meno, disponiamo di una Vpn (Virtual private network, ndr) che ci permette di lavorare da ovunque come se fossimo in ufficio”, chiosa Beraldi, “di tecnologie di teleconferenza, oltre che di tre hub che i pendolari impiegati nella sede di Milano possono utilizzare per diminuire i tempi di percorrenza da casa”. Il tema della tratta che separa le abitazioni dei dipendenti dal posto di lavoro è stato alla base dell’esperimento compiuto da Bayer Italia. In questo caso a innescare il progetto di smart working chiamato Flexpo è stato, come suggerisce il nome, l’arrivo dell’Esposizione Universale. Sede di Expo 2015 è infatti Rho, comune vicino sia a Garbagnate sia a Viale Certosa, dove si trovano rispettivamente uno degli stabilimenti (gli altri due sono a Segrate e a Filago, provincia di Bergamo) sia il quartier generale milanese della casa farmaceutica. “Molti dei nostri 1.200 collaboratori si sono trovati così, a partire da maggio, in una situazione di traffico veicolare aumentato del 20%”, dice Maria Luisa Sartore, HR Business Partner Product Supply Bayer. “Per questo abbiamo attivato per i sei mesi della durata della manifestazione il programma Flexpo, inserito nella cornice dell’accordo integrativo quadro stipulato a luglio 2014 con il sindacato”.

Flexpo in pratica permette ai dipendenti dell’area commerciale come di quella produttiva di gestire l’orario di lavoro, sia in entrata che in uscita, in autonomia e con flessibilità. “Stiamo conducendo una survey per valutare l’impatto che ha avuto l’iniziativa”, precisa Sartore. “Possiamo già dire comunque che se da una parte i collaboratori chiedono a gran voce il prolungamento del programma, dall’altra abbiamo notato che l’esperimento ha funto anche da strumento di diversity, avvicinando la cultura commerciale a quella produttiva”.

VERSO I LIMITI DELL’AGILE

In ambito alberghiero è NH Hotel Group ad aver mosso i primi significativi passi sulla via del lavoro agile. “Vogliamo sfatare il mito che si possa fare solo in aziende in cui non è prevista la relazione vis-à-vis con il cliente”, conferma Beatrice Carlorosi, responsabile Talent, Learning & Development della catena spagnola che è presente in Italia con 55 strutture e 1.200 dipendenti assunti. “Il nostro piano è iniziato nel 2013, ma è entrato nella fase operativa da poco: si tratta infatti di un’esperienza basata su una lunga attività di osservazione e ascolto dei collaboratori, per il momento avviata sulla sola sede centrale, dove lavorano 150 risorse. Abbiamo gradualmente promosso orari flessibili, abolito il cartellino, fornito alla direzione Sales un servizio di desk sharing per arrivare nel 2014 ad aderire alla giornata del Lavoro agile indetta dal Comune di Milano, in occasione della quale abbiamo esteso le stesse prerogative a tutte le altre divisioni. Dallo scorso giugno il progetto prevede la facoltà di lavorare fuori dall’ufficio due venerdì al mese, oltre a una o più giornate durante la settimana, a discrezione dei singoli. Ma”, avverte Carlorosi. “non basta cambiare il layout degli ambienti, o introdurre tecnologie digitali per la unified collaboration, bisogna prima di tutto impostare, a partire dalle figure apicali dell’impresa, una logica di responsabilizzazione sui risultati nell’ottica di raggiungere maggiore autonomia in base ai reali obiettivi di business”. Funziona? “Secondo le nostre indagini interne per il 34% dei lavoratori il sistema non dà ancora sufficiente flessibilità, ma è in generale vissuto come un riconoscimento intangibile, una gratificazione sul piano dell’aumento delle responsabilità. Siamo quindi sulla strada giusta”.

Anche Plantronics ha cercato di portare la propria idea di smart working al limite dei suoi attuali confini, effettuando un test sul call center del servizio clienti. “Abbiamo cominciato a sviluppare la strategia nel 2008, quando con la crisi abbiamo perso la metà delle persone”, dichiara Philip Vanhoutte, senior VP & MD, Europe and Africa della multinazionale specializzata in sistemi audio professionali. “Quindi ci siamo trovati improvvisamente a dover fare le stesse cose con meno risorse. Il lavoro agile non è stato però utile solo per dare più flessibilità all’organizzazione. Si è rivelato prezioso soprattutto per aumentare la motivazione dei collaboratori. È un mondo nuovo, ed è difficile prevedere le conseguenze di questo approccio, visto che non esistono più limiti di tempo e spazio. Dopo otto anni di implementazione parliamo ancora di un work in progress i cui effetti a volte ci stupiscono”, precisa Vanhoutte. “L’estensione al front office, per esempio, si è rivelata un successo, in quanto il lavoro dei consulenti telefonici è risultato generalmente più meno stressato e più focalizzato. D’altra parte, non tutti preferiscono lavorare da casa e continuano a scegliere il call center”.

L’ESPERIENZA DEI CARRIER

Sul fronte telco, Vodafone Italia si distingue per essere la prima azienda italiana per numero di soggetti coinvolti in progetti di smart working. Nel 2014 era 2.300 i dipendenti che potevano accedere a forme di lavoro agile una volta a settimana. Oggi si parla di 3.200 risorse (tra quelle per cui non è previsto un contatto diretto con il cliente), che dal 7 settembre possono lavorare in smartworking 1 giorno a settimana, dal lunedi al venerdi. Mentre Telecom Italia si trova ad affrontare una sfida ambiziosa: il progetto di razionalizzazione degli edifici che interesserà dieci città e una cinquantina di edifici. “Abbiamo anche noi scelto un approccio di tipo culturale che coinvolgesse tutta l’organizzazione”, dice Stefano Mattevi, responsabile Segment Marketing Direct Channel – Business dell’azienda. “Si è cominciato con una mail del nostro amministratore delegato mandata a tutti i dipendenti in seguito a una survey effettuata per capire quali sono effettivamente le esigenze legate ai vari mestieri dei collaboratori e in che modo si possono declinare sul piano dello smart working. Il pilot prevede la formazione a tutti i livelli, specialmente dei leader, che devono cambiare il rapporto con i propri team, maturando una nuova attitudine alla delega. “Il management”, conclude Mattevi, “dovrà inoltre imparare a misurare le capacità dei collaboratori per obiettivi e non per compiti e mansioni. Solo dopo arriva l’aspetto tecnologico. Anche perché in questo senso giochiamo in casa: è nostra prerogativa portare sul mercato soluzioni che abbiamo sviluppato e adottato in primis all’interno dell’organizzazione, a partire dagli strumenti di unified collaboration e dalle infrastrutture di rete a supporto delle applicazioni aziendali”.

ANCHE IL WELFARE DIVENTA SMART?

Un caso fuori dal coro, visto che non riguarda un’azienda privata bensì un’istituzione pubblica è quello del Comune di Genova, che ha affrontato la spending review puntando sulla produttività, sull’iniziativa e sulla dotazione hardware dei propri dipendenti. Il programma di smart working è stato coordinato da Isabella Lanzone, assessore al Personale (con delega all’Informatica) della Giunta Doria, che ha dovuto far fronte al blocco delle assunzioni (il personale è passato da 6.100 dipendenti nel 2012 agli attuali 5.400) proponendo un investimento sul fattore personale e sulla promozione della qualità della vita dei cittadini attraverso un’erogazione più flessibile dei servizi. “Abbiamo dovuto ripensare il concetto stesso di modalità lavorativa, passando da quella esecutiva, tipica dei dipendenti pubblici a un tema di coprogettazione, con obiettivi standardizzabili e misurabili, in modo da rendere comprovabile il lavoro. Non avendo risorse da destinare alle attrezzature informatiche, abbiamo chiesto ai dipendenti, in cambio di orari flessibili, di mettere a disposizione i propri Pc, tablet, smartphone e connessione Wi Fi”. L’iniziativa sta funzionando, facendo registrare un aumento delle performance media delle persone coinvolte, tanto da spingere il Comune a presentare ai sindacati la proposta di una ridefinizione al rialzo degli obiettivi di produttività.

Non per niente Lucia Landi, responsabile del Personale della Cassa di Risparmio di Cento, gruppo che conta 444 dipendenti tra le sedi e le filiali di Modena, Bologna e Ferrara, parla di welfare allargato. “Lo smart working è un tema delicato anche per organizzazioni non estese come la nostra. Oltre al posto di lavoro, è la società a diventare più che liquida: sempre connessa, è inserita in un flusso di dati costante, e di conseguenza anche la distinzione tra attività professionale e tempo libero tende a dissolversi. In questa transizione non bisogna però perdere di vista la logica dell’azienda”, ammonisce Landi. “Per noi conciliare la persona nella sua complessità significa dare vita a una banca olistica attraverso un cambiamento culturale che passa dalla formazione. Anche tecnica, visto che grazie al digitale e ai processi di smaterializzazione tipici del nostro settore le persone forse non cambieranno lavoro, ma lo svolgeranno in modi diversi, con obiettivi e strumenti differenti”. Il compito di guidare la trasformazione verso il lavoro agile presuppone secondo la manager la capacità dell’azienda di fornire ai propri collaboratori strumenti per gestire la presenza mentale a prescindere dal luogo di lavoro. “Pur avendo alle spalle un quadro normativo complesso, stiamo lavorando su tanti progetti, tenendo conto dei nuovi mestieri in mobilità e della responsabilità che ogni impresa ha quando si tratta di capitalizzare il valore umano”.

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