Sono circa 9 milioni gli italiani che impiegano i social per entrare in relazione con le istutizioni culturali. Si tratta del 36,6% dei 36,5 milioni di italiani che che utilizzano i social media e che rappresentano circa il 60% della popolazione nazionale. E’ quanto risulta dalla prima indagine condotta da Civita con la collaborazione di Unicab. Il rapporto, curato da Luca De Biase e Pietro Antonio Valentino, sarà presentato mercoledì 30 marzo alle 9.30 presso l’Auditorium dell’Ara Pacis, alla presenza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini. L’obiettivo dello studio è volto a comprendere in che misura e con quali effetti il mondo delle istituzioni culturali venga investito dalla “rivoluzione social”, fornendo un contributo concreto tanto agli operatori culturali quanto agli utenti reali o potenziali di questo mondo.
Effettuata una distinzione dei luoghi della cultura per categorie (Artisti, Biblioteche, Enti lirici e musicali, Spazi espositivi e Teatri), dall’indagine, si legge in una nota di Civita, emerge che sono soprattutto le giovani donne (18-25 anni) ad utilizzare i social per connettersi con le istituzioni museali. In termini di intensità delle relazioni – dato dal numero di contatti di ciascun utente – sono teatri ed enti lirici e musicali ad avere un pubblico online più fedele e affezionato.
Gli utenti impiegano i social soprattutto per la fruizione virtuale e per scaricare materiali messi a disposizione dalle organizzazioni culturali, mentre “l’acquisizione di informazioni per la prenotazione o l’acquisto del biglietto d’ingresso – si legge nella nota di presentazione della ricerca – sono nettamente sottoutilizzati. Rispetto alla semplice acquisizione o diffusione dei contenuti, la funzione creativa associata ai social media, la più specifica e caratterizzante, è ancora, in Italia, assolutamente marginale”.
L’indagine mostra che l’utilizzo di tali strumenti come mezzo per entrare in relazione con i propri pubblici o per attrarre visitatori non costituisce ancora, per i nostri musei, un obiettivo strategico e rilevante, a eccezione dei musei d’arte contemporanea, capaci, al contrario, di richiamare non solo i giovani (cosiddetti “nativi digitali”) ma anche un pubblico più trasversale e meno assiduo.
Tali difficoltà dipendono dalla scarsa conoscenza delle effettive potenzialità dei social dovuta alla poca esperienza finora accumulata nonché dalla difficoltà di associare una piattaforma ad obiettivi specifici. Sono, pertanto, i social multifunzionali, quali Facebook, Twitter e Google+ (seguiti ad una certa distanza da Instagram, Pinterest e YouTube) quelli ritenuti più efficaci dai musei ed utilizzati, in particolare, per stimolare la creazione di contenuti autocreati (user generated content), favorire l’apprendimento ed arricchire la fruizione o condividere i contenuti.
L’indagine, infine, ha mostrato con chiarezza che le nuove piattaforme sono quasi sempre implementate in stretta connessione con il sito web del museo; una scelta volta ad ottimizzare l’uso di tutti gli strumenti a disposizione dell’istituzione ma anche ad arricchire il sito potendo impiegare tutti i supporti di comunicazione (verbali o visivi) tramite l’uso di linguaggi differenti.
“Per rispondere alla duplice sfida con cui sono chiamati a misurarsi i nostri musei – prosegue il comunicato – ovvero recuperare il tempo perduto e proporsi come soggetti dell’innovazione nell’utilizzo delle tecnologie social, Civita lancia alcune proposte, fornendo, al contempo, indicazioni utili al superamento di alcuni vincoli attuativi. Da un lato, le istituzioni museali devono accrescere il proprio ruolo identitario e valoriale, a garanzia della qualità della cultura trasmessa e a favore di una redistribuzione dell’accesso alla conoscenza, valutando pregi e difetti rispetto ai propri obiettivi; dall’altro, i nostri musei, devono essere messi in grado di dare l’avvio ad una progettualità innovativa, volta da ottimizzare le funzioni delle piattaforme social in linea con le esigenze del museo stesso ma anche, e di comune accordo, con quelle di centri di ricerca e imprese innovative del settore”.