IL REPORT

PA digitale, sondaggio FPA: il 72% dei dipendenti vuole lo switch off della carta

I lavoratori del comparto pubblico chiedono uno stop immediato dei processi analogici; il 68% auspica una “total disclosure” per rispondere alle richieste degli utenti. I “senior” più disposti ad innovare rispetto ai giovani

Pubblicato il 29 Gen 2019

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La trasformazione della PA passa da un rapporto più trasparente e collaborativo con i cittadini, accompagnato da una radicale trasformazione digitale. Oltre nove dipendenti pubblici su dieci pensano che l’ascolto dell’utenza sia il punto di partenza per costruire politiche pubbliche positive e il 68,3% ritiene che i cittadini abbiano il diritto a relazionarsi con un’amministrazione completamente trasparente, con due terzi disposto persino ad aprirsi ai cittadini nella valutazione del suo lavoro. La trasformazione digitale è considerato lo strumento per imprimere il cambiamento organizzativo (nei processi, nella cultura, nell’atteggiamento verso il lavoro e l’utenza): per il 71,7% dei dipendenti pubblici la carta deve scomparire del tutto immediatamente e il passaggio al digitale nella pubblica amministrazione deve diventare obbligatorio.

Però per la maggioranza – il 63,9% – l’innovazione nella PA più che con norme, imposizioni e sanzioni, si realizza con un accompagnamento fatto di manuali, formazione e premi. La sensibilità su questi aspetti cambia a seconda dell’età e dell’anzianità di servizio e, a sorpresa, i più resistenti ad alcuni elementi di cambiamento sono i più giovani e i neoassunti: ben il 43,9% degli under 35 è prudente sulla trasparenza delle PA (contro il 31,7% del campione totale) e l’34,8% auspica un passaggio al digitale più graduale (6,5 punti in più della media).

Sono alcuni risultati dell’indagine “Il Pendolo della Riforma” condotta da FPA, società del Gruppo Digital360, su un panel di 2.751 tra lavoratori del settore pubblico e stakeholder istituzionali iscritti alla community ai quali è stato chiesto, per ogni tema caldo della PA, di scegliere tra due possibili alternative. L’indagine è stata illustrata oggi a Roma in occasione della presentazione dell’Annual Report 2018 di FPA.

“La ricerca presentata oggi insieme al nostro Annual Report rivela come la realtà della Pubblica Amministrazione sia fatta da chiaroscuri, in cui a fianco a posizioni di forte innovazione su alcuni temi persistono tendenze alla conservazione – commenta Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA –. Ma emergono anche alcuni chiari segnali da valorizzare: i lavoratori pubblici avvertono l’urgenza di maggior ascolto dei cittadini e di trasparenza totale per il successo delle politiche, con una trasformazione abilitata dal digitale. È ormai diffusa la consapevolezza che lo Stato possa sostenere l’innovazione nel Paese solo se esso stesso diventa innovativo. A questo scopo, è indispensabile valorizzazione urgentemente le risorse interne con adeguata formazione, diffondere una cultura organizzativa “agile” anche con l’adozione dello Smart Working, far tornare l’Open Government ispirazione di politiche nazionali e locali, ridare vigore all’agenda digitale con una chiara governance al sistema dell’innovazione”.

“L’indagine evidenzia come alcuni concetti chiave della spinta riformatrice siano divenuti ormai cultura comune, mentre altri sono ancora estranei per una buona parte dei dipendenti della PA, che sceglie a volte opzioni difensive – sottolinea Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA –. Un segnale che bisogna lavorare per dare continuità a quanto fatto negli ultimi anni, ma che allo stesso tempo non ci si può aspettare che cambiamenti profondi arrivino in tempi rapidi. L’innovazione della PA deve partire dall’ascolto e dal co-design con gli stakeholders, utilizzando la trasformazione digitale come leva di cambiamento organizzativo, di processo, di prodotto e servizio con strategie lungimiranti. Questa innovazione richiede prima di tutto “rispetto” del lavoro già fatto, della competenza, delle comunità locali coinvolte, dei diversi ruoli in campi, ma anche dei tempi del cambiamento da coltivare con pazienza”.

Per Andrea Rangone, ceo di Digital360, “l’’innovazione nella pubblica amministrazione, soprattutto in un Paese in cui la spesa pubblica è quasi il 50% del Pil, rappresenta un tassello importantissimo per accelerare quel processo di rinnovamento dell’intero paese”. Si tratta, per il manager, di un processo “indispensabile per riavviare in modo strutturale e duraturo il motore della crescita. Per questo motivo l’innovazione digitale deve essere al primo posto tra le priorità del 2019 di questo Governo”.

Ecco i dettagli della ricerca.

Il rapporto con i cittadini

Dalla ricerca emerge come la riforma della PA non possa prescindere dalla costruzione di una forte relazione con i cittadini. Secondo il 91% dei dipendenti pubblici l’ascolto dei cittadini è il punto di partenza per realizzare politiche pubbliche efficaci. Poi viene la necessità di una PA trasparente: un buon 68,3% ritiene che le informazioni sulle attività delle amministrazioni debbano essere completamente accessibili e che la PA debba organizzarsi per rispondere a tutte le richieste dei cittadini. Anche se una minoranza significativa, il 31,7%, evidenzia anche i rischi di diffondere informazioni che potrebbero ledere l’indipendenza di giudizio dell’amministrazione e la sua terzietà: un dato che tocca il 40,6% fra i dirigenti e, a sorpresa, il 43,9% fra i giovani sotto i 35 anni e il 48,2% tra i nuovi assunti nella PA (da meno di 5 anni).

I lavoratori pubblici affidano anche un ruolo attivo al cittadino, chiamato dal 63,7% del campione a contribuire alla valutazione dell’operato dei dipendenti della PA, una convinzione saldamente condivisa dai dipendenti della scuola, delle università e dei centri ricerca e del sistema sanitario nazionale, mentre sono meno convinti coloro che lavorano nella PA centrale e negli Enti Locali. C’è però un 41,4% dei dirigenti che crede che l’audit civico non debba avere impatto sulla valutazione individuale dei dipendenti pubblici, perché il giudizio dei cittadini può essere fuorviante, legato a simpatie o antipatie pregresse e non sostenuto da sufficienti esperienze e competenze.

Se si analizza il ruolo dei cittadini nella definizione dei servizi pubblici, il campione appare diviso a metà. Il 49,9% vede la relazione fra PA e cittadini come quella fra imprese e clienti, il 51,1% vede invece nei cittadini un soggetto capace di portare nuove idee e soluzioni. Donne, impiegati del terzo settore e i dipendenti di università, centri di ricerca, scuole, sistema sanitario nazionale ed enti locali sono i più favorevoli alla collaborazione.

Innovazione e digitalizzazione

Per il 71,7% del campione la carta deve immediatamente lasciare il posto alla digitalizzazione completa e questo passaggio deve essere reso obbligatorio, prevedendo canali assistiti per i dipendenti non digitalizzati. Il 28,3%, invece, propone un’introduzione graduale del digitale nella PA, che tenga conto della preparazione dei dipendenti, della loro età e della scarsa alfabetizzazione informatica dell’utenza. Anche in questo caso, fra i segmenti più conservatori risultano i più giovani (34,8%) e i neo assunti (37,5%) della PA, oltre a dirigenti (36,1%), consulenti e collaboratori (35,3%) e chi lavora nelle università (33,2%) e nelle amministrazioni centrali (32%).

Consapevoli delle difficoltà che rallentano i processi di innovazione all’interno della PA, il 63,9% dei lavoratori concorda sul fatto che l’innovazione possa essere portata avanti soltanto gradualmente e con un approccio che preveda più manuali, formazione e premi, che non norme, imposizioni e sanzioni. Una percentuale che sale al 68,7% se si considerano i soli dipendenti della PA e al 76% fra i dirigenti. All’interno del 36,1% che vorrebbe diffondere l’innovazione attraverso normative, obblighi e sanzioni, figurano soprattutto dipendenti del settore privato e del terzo settore, neo-assunti, collaboratori e consulenti della PA.

Il lavoro pubblico

Sul tema del lavoro pubblico, spesso le opinioni si dividono e le maggioranze sono meno nette. Il concorso resta la modalità di ingresso preferita dal 55,1% degli intervistati per le regole oggettive che lo contraddistinguono, ma un alto 44,9% richiama alla possibilità di scegliere sulla base della conoscenza dell’esperienza pregressa, dei risultati ottenuti e una valutazione soggettiva della personalità.

Il criterio di valutazione del lavoro che prevale è la misurazione delle performance sulla base dell’impatto dell’azione pubblica sulla vita dei cittadini e delle imprese. Ma il 40% del campione resta legato ai concetti di efficienza e produttività, convinto che si debbano individuare parametri oggettivi di valutazione come i giorni di assenza o le pratiche evase, perché troppe variabili indipendenti dall’azione dei dipendenti pubblici incidono sull’esito delle politiche pubbliche. Sulle possibili soluzioni all’assenteismo una lieve maggioranza – il 51% – invoca più controlli e provvedimenti disciplinari, mentre il restante 49% ritiene che lo smart working potrebbe essere una cura più efficace rispetto alle sanzioni.

Più netta la presa di posizione sul tema della relazione tra burocrazia e politica: il 60% del campione (il 62,5% se si considerano solo i dipendenti pubblici da oltre 15 anni) boccia senza alcun dubbio lo spoil system, colpevole di aver minato la terzietà della PA. Quattro su dieci ritengono giusto che la politica collochi al vertice delle amministrazioni persone che condividano i principi fondamentali in un limitato numero di casi.

Il rapporto con le imprese 

Nella relazione fra settore pubblico e privato nella gestione di beni e servizi pubblici, emergono opinioni diverse. Per il 50,4% la PA deve concentrarsi e rafforzare solo le proprie funzioni di indirizzo strategico e di controllo, riducendo allo stesso tempo il perimetro della propria azione e lasciando che sia il mercato a rivestire funzioni per le quali non è indispensabile un ruolo attivo della PA. Al contrario, il 49,6% afferma che la PA dovrebbe estendere e rafforzare il suo ruolo e le sue azioni, diminuendo privatizzazioni ed esternalizzazioni.

Sul controverso tema del silenzio-assenso, la maggioranza (62,1%) ritiene che sia opportuna una riduzione a casi marginali del criterio perché è troppo pericoloso per l’interesse pubblico, ponendo maggiore attenzione alla velocità di una decisione che tuttavia deve necessariamente essere presa dalla PA perché garante.

Stato e autonomie locali 

Il panel risulta nuovamente diviso a metà sui temi del federalismo. Per il 50,9% uno dei maggiori problemi della PA italiana è costituito dall’eccessiva frammentazione e da un federalismo amministrativo che crea tante amministrazioni diverse con regole e adempimenti differenti. Emerge chiaramente la distanza fra i lavoratori delle PA centrali, il 63,4% dei quali sostiene la centralità statale nei processi di innovazione, e i dipendenti degli enti pubblici locali, che la condividono solo nel 40,7% dei casi.  Questi ultimi e i lavoratori delle scuole sono invece il segmento più convinto che l’innovazione nasca nelle città e nelle regioni, contro un’imposizione centralistica.

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