Non basta dire “digitale” per significare “migliore”, né
basta comprare macchinari per dire di avere digitalizzato
l’amministrazione.
Interessante il caso della giustizia, perché considerato un tabù.
È mai possibile immaginare l’innovazione tecnologica e
l’ingresso del mercato nell’amministrazione della giustizia?
Difatti: nulla è più tipico della diretta azione statale, visto
che l’autonomia e l’indipendenza del giudice sono beni
irrinunciabili. Eppure, forme di privatizzazione della giustizia
sono già diffuse, come, ad esempio, gli arbitrati. Ma non è su
questo che si vuole attirare l’attenzione. Si spende troppo per
avere troppo poco. Tra il 1999 e il 2008 sono stati spesi 1,5
miliardi di euro per digitalizzare la giustizia italiana. Nella sua
relazione al Parlamento sullo stato della giustizia nel 2011 il
ministro Angelino Alfano utilizza l’arco temporale 1996-2007:
più di 2 miliardi spesi.
Prima lezione: se si mette il turbo digitale alla disfunzione
organizzativa si ottiene un sistema turbodisfuso. Una volta
informatizzati e messi in rete gli uffici, tutto dovrebbe
funzionare alla perfezione, senza che giri più una carta. Ma non
è così, perché il maxi investimento è stato spalmato nella
babele di 1.800 uffici, distribuiti in 3.000 edifici, dotati di
60.000 computer e assistiti da 5.000 server.
Seconda lezione: se digitalizzi il caos funzionale ottieni solo
caos computerizzato. Ma non è finita: perché non solo gli uffici
giudiziari sono assai più di quelli che ragionevolmente servono
(sicché gli altri vanno chiusi), ma molti di loro hanno
colpevolmente preteso di dotarsi di propri programmi e proprie
ditte d’assistenza, moltiplicando tanto i costi quanto la
confusione. Terza lezione: il magistrato deve essere autonomo
nell’esercizio della sua funzione, ma l’organizzazione
dell’ufficio deve essere centralizzata, razionalizzata e
sottratta al gioco delle correnti, come a quello dei fornitori.
Il sistema giudiziario non ha bisogno di pagare un’assistenza h24
perché se ne lavorasse 12 saremmo già felicissimi. Mentre i
magistrati chiedono di assumere gli assistenti informatici e
internalizzare i servizi, si deve andare in direzione opposta:
coinvolgere i privati non solo nell’assistenza, ma nel
funzionamento del servizio. La gran parte del lavoro di
cancelleria, come quello di notificazione, come anche per la
certificazione, potrebbe essere gestito in modo più razionale e
aziendale, senza alcun pericolo per la riservatezza e la sicurezza.
Risultato: migliore qualità e minori costi. Anche il mondo della
giustizia diventerebbe un’occasione per creare ricchezza e
introdurre innovazione, anziché bruciarla nei ritardi e bloccarla
sul nascere. Non è pensabile che se spedisco un pacco in una
qualsiasi parte del mondo sono costantemente aggiornato su dove si
trova e quanto manca al recapito, che mi viene immediatamente
notificato, e se si spedisce una comunicazione che abbia a che
vedere con la giustizia parte un dissennato gioco a nascondino, di
cui non so nulla fino a quando non mi ritorna una comunicazione
cartacea.
Siamo in una strana condizione: abbiamo speso moltissimo e abbiamo
una giustizia assai meno digitalizzata di quel che dovrebbe. Al
tempo stesso, viviamo una singolare opportunità: potremmo
risparmiare moltissimo e, per riuscirci, potremmo digitalizzare,
razionalizzare, riorganizzare e sveltire la giustizia.
Per imboccare la retta via dobbiamo uscire dall’incubo contabile:
non è vero che spendendo di più si ottiene di più, non è vero
che per risparmiare si debba tagliare alla cieca. Il tema non sono
i talleri per un contratto, ma le riforme che sbaracchino una roba
destinata a non funzionare.
Il nuovo piano straordinario serve a digitalizzare cancellerie e
procedure, agganciando gli anelli mancanti e mettendo a frutto gli
investimenti fatti. Ma una simile rivoluzione, per funzionare, ha
bisogno anche che si cambino mentalità e procedure: il Consiglio
nazionale forense continua ad essere in enorme e colpevole ritardo
nella messa a disposizione degli elenchi digitalizzati degli
avvocati, si dispone di quelli dei singoli ordini, ma non di quello
nazionale; il ministero della Giustizia deve tornare a svolgere il
ruolo che la Costituzione gli assegna; la magistratura deve
considerare la digitalizzazione un servizio alla giustizia e non
una propria disponibilità.
Tra i magistrati e tra gli avvocati ci sono molti che sanno alla
perfezione come farci uscire dal pantano. Purtroppo ce ne sono
altri, i più ciarlieri e presenzialisti, che nella condizione
odierna hanno trovato il loro habitat remunerativo. Non si andrà
mai da nessuna parte, se non ci si decide a scegliere i primi,
rispondendo a bisogni collettivi, lasciando schiamazzare i secondi,
affezionati ai loro egoismi corporativi.
Troppe spese scarsi risultati. E’ “ingiustizia” digitale
Si è investito tantissimo per la e-Justice, ma si è messo anche il turbo alle disfunzioni. Per imboccare la retta via è necessario uscire una volta per tutte dall’incubo contabile
Pubblicato il 06 Giu 2011
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