Chiedono più privacy. Sono le 14 fra le maggiori aziende tecnologiche Usa – tra cui Apple, Google, Microsoft, Facebook e Twitter – che si sono rivolte alla Corte suprema per chiedere più limiti sui modi in cui le forze dell’ordine possono ottenere dati relativi alla posizione dello smartphone di un sospettato.
Ad essere contestata è la possibilità, da parte delle forze dell’ordine, di accedere ai dati relativi alla posizione geografica dei dispositivi, e quindi dei loro possessori, senza un mandato, se le informazioni sono possedute da un terzo. Le compagnie hanno presentato ieri sera in tribunale un documento di 30 pagine in qualità di ‘amici curiae’, termine giuridico che indica chi, pur non essendo parte in causa, offre una memoria per aiutare la corte a decidere. Il caso sarà attentamente monitorato: la decisione del tribunale può avere profonde implicazioni per la vita privata nell’era digitale.
Il documento rientra nella causa “Carpenter contro gli Stati Uniti”. Stando al documento presentato dalle compagnie, “la Corte dovrebbe perfezionare l’applicazione di alcune dottrine del Quarto emendamento per assicurarsi che la legge si relazioni realisticamente con le tecnologie basate su internet e con le aspettative dei cittadini sulla privacy dei loro dati digitali”.
La causa in oggetto ha per protagonista Timothy Carpenter, un uomo condannato nel 2011 per una serie di rapine a Detroit. L’accusa è riuscita a collocare l’uomo vicino ai luoghi di alcune rapine grazie alle informazioni sulle celle telefoniche agganciate dal suo cellulare, informazioni fornite dagli operatori di telefonia mobile senza un mandato del tribunale.
Le aziende fanno presente che gli utenti Usa già si aspettano una certa garanzia sulla privacy. Ma naturalmente i dati possono continuare a essere utilizzati dalle stesse compagnie “per fornire e migliorare i propri servizi al cliente”.