DATA PROTECTION

Tim Cook: “Gdpr europeo è apripista per gli Usa”

Il ceo di Apple parla a una conferenza a New York e ribadisce il sì alle regole per tutelare i dati personali. “Non mi fido” dei politici americani, afferma. Il Gdpr “è un passo nella giusta direzione. L’Europa ha più probabilità di tirar fuori qualcosa di ben fatto”

Pubblicato il 24 Apr 2019

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Regolare i colossi dell’hitech è di cruciale importanza e va fatto con urgenza e sulla falsariga della robusta General data protection regulation (Gdpr) dell’Unione europea, non con gli approcci timidi degli Stati Uniti. Lo ha detto il ceo di Apple, Tim Cook intervenendo a una conferenza organizzata da Time Magazine (Time 100 Summit) a New York.

Cook ha sottolineando il proprio scetticismo nei confronti dei politici americani e la loro capacità di fare la mossa giusta quando si tratta di imporre regole ai colossi del digitale e tutelare la privacy.

“Sostanzialmente non mi fido”, ha dichiarato il ceo rispondendo a chi gli chiedeva se, secondo lui, gli Stati Uniti riusciranno a mettere insieme una normativa efficace sulla data protection che sia utile per imprese e cittadini. “Penso che questo sia un esempio in cui l’Europa ha più probabilità di tirar fuori qualcosa di ben fatto. Il Gdpr non è ideale ma è un passo nella giusta direzione“, ha detto Cook.

Il Gdpr, infatti, garantisce ai consumatori un maggiore controllo sui dati personali, ed è un ottimo passo in avanti, pur non spingendosi abbastanza in là. Al contrario i regolatori Usa, secondo Cook, difficilmente si muoveranno nella giusta direzione perché la maggior parte delle imprese americane ha posizioni anti-regulation.

Le dichiarazioni del ceo di Apple arrivano mentre negli Stati Uniti ferve il dibattito sulla necessità di una normativa federale sulla protezione dei dati personali capace di mettere al riparo da episodi come lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica. Dopo il datagate, Cook si è fatto paladino della privacy, desideroso di salvaguardare la reputazione di Apple come azienda “diversa” dai colossi di Internet che basano tutti i loro profitti sullo sfruttamento dei dati personali.

Alla conferenza della rivista Time, il ceo della Mela non ha fatto nomi (pur alludendo chiaramente a Google e Facebook), ma ha ripetuto l’esortazione al Congresso americano ad approvare una legge federale sulla privacy severa e di vasta portata.

Qui occorre onestà intellettuale: dobbiamo ammettere che qualcosa di quello che facciamo oggi non funziona e che la tecnologia deve essere regolata”, ha detto Cook. “Ci sono ormai troppi esempi che dimostrano che il sistema del ‘niente vincoli’ ha prodotto grandi danni alla società”.

I regolatori europei sono stati molto forti nel cercare di imporre protezioni per i consumatori, invece “le aziende americane pensano che tutte le regole sono cattive regole e quindi si tende a non fare niente”. “Noi siamo determinati a sostenere la regulation perché non vedo altro modo di agire adesso”, ha indicato ancora il numero uno di Apple.

Cook aveva già espresso queste posizioni, per esempio in un commento sempre su Time, a gennaio. Il ceo di Apple ha anche chiesto alla Federal trade commission americana di istituire un registro obbligatorio dei data broker.

Proprio ieri l’Unione europea ha invitato Washington a passare una severa legge federale pro-privacy, che sarebbe propedeutica a riaprire le trattative sullo scambio dati tra Usa e Europa e all’aggiornamento del Privacy shield. Garanzie solide farebbero degli Stati Uniti un partner credibile per tutte le imprese europee, ha indicato la commissaria Ue alla Giustizia Vera Jourova, visto che le aziende con sedi negli Usa e nell’Ue potrebbero liberamente e in modo sicuro scambiare dati personali.

Negli Stati Uniti il dibattito sulla privacy divide sia il mondo politico che dell’impresa. Mark Zuckerberg di Facebook si è mostrato propenso alla regulation: l’azienda di Menlo Park ha rafforzato il suo impegno sui dati dopo i tanti scandali. Google resta invece su posizioni più vicine al tradizionale light-touch della normativa americana. La California (guidata dai Democratici) ha fatto scuola varando la legge sui dati personali con più vincoli per le imprese e più tutele per i consumatori. Al Congresso le preoccupazioni per l’abuso sui dati personali e per le ingerenze politiche nei social network sono forti e i paladini della privacy considerano la legge californiana un modello da applicare su scala federale. I conservatori temono però che nuovi vincoli e tanta burocrazia esercitino un effetto freno sull’innovazione e, anche dietro la pressione di alcune lobby industriali, potrebbero far pendere l’ago della bilancia verso una normativa soft.

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