Le aziende europee non sono ancora pronte per il Gdpr. A una settimana dall’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati, l’85% delle imprese fatica a rispettare i termini di conformità. Secondo uno studio del Digital Transformation Institute di Capgemini, una società su quattro non riuscirà ad adeguarsi nemmeno entro la fine dell’anno.
Ormai è una corsa contro il tempo. La normativa sarà in vigore a partire dal 25 maggio, ma il grado di preparazione resta basso. Le più avanzate sono le imprese britanniche, anche se solo il 55% dichiara di essere ampiamente o completamente conforme. Seguono le società di Spagna (54%), Germania (51%) e Paesi Bassi (51%). In Italia il dato si ferma al 48%. Fanalino di coda la Svezia, dove appena il 33% delle compagnie può dire di aver già predisposto soluzioni conformi al regolamento.
Il report, denominato “Seizing the Gdpr Advantage: from mandate to high-value opportunity”, dimostra che non tutte le aziende hanno colto le opportunità di business offerte dalla nuova regolamentazione. Quasi un terzo delle società si sta limitando al rispetto delle regole minime, senza sfruttarne il vantaggio competitivo. Il 19% del campione, poi, non pone la conformità al regolamento tra le sue priorità. Nonostante il rischio di sanzioni fino al 4% del fatturato. Al contrario, chi si è già adeguato comincia a vederne i frutti. Lo studio dimostra che il 39% dei consumatori convinti che una data organizzazione protegga i loro dati ha acquistato più prodotti da quell’azienda (In Italia si sale al 47%). L’aumento di spesa è del 24%. Cresce il numero delle transazioni (40%) e si condivide l’esperienza positiva con amici e parenti (49%), migliorando la reputazione della compagnia.
La nuova consapevolezza sulla necessità di proteggere i propri dati sta cambiando il rapporto dei clienti con le aziende. In tutta Europa, il 57% delle persone dichiara di aver preso provvedimenti nei confronti di una società, una volta appreso che i propri dati non venivano gestiti in maniera adeguata. Si va dalla riduzione della spesa alla cessazione dell’uso dei servizi, fino alla condivisione di giudizi negativi. Un pericolo che le aziende finora hanno sottovalutato. I tre quarti dei dirigenti ritengono che i consumatori non chiederanno la rimozione dei dati e otto su dieci pensano che i clienti abbiano piena fiducia nella loro gestione della privacy. Considerazione che trova d’accordo, però, solo il 52% dei consumatori.
“Oltre a guadagnare la fiducia dei consumatori e a far sì che questi incrementino la propria soglia di spesa, conoscere la tipologia di dati a loro disposizione permette alle aziende di utilizzare in modo più efficiente gli analytics”, fa notare Andrea Falleni, amministratore delegato di Capgemini Italia e Eastern Europe. Sicuro che il Gdpr possa rappresentare anche un’occasione di risparmio. “Consentirà alle imprese di individuare i file da eliminare, guadagnando maggiore spazio di archiviazione dei dati e riducendo i costi di gestione che, entro il 2020, raggiungeranno quota 3,300 miliardi di dollari a livello globale”.