Mark Zuckerberg voleva accordarsi con alcuni sviluppatori di app per vendere i dati degli utenti di Facebook e quantificare il valore delle informazioni affidate al social network numero uno al mondo. Lo scrive la testata americana Nbc News sulla base di ben 4.000 pagine di documenti confidenziali interni all’azienda di Menlo Park.
Tali accordi con si sono mai concretizzati, ma Zuckerberg sarebbe arrivato a un certo punto a considerare ben 100 partnership con sviluppatori di app per vendere l’accesso ai dati degli utenti. In uno dei messaggi trapelati, il ceo afferma che l’obiettivo di questi accordi non era il contratto in sé ma capire quanto gli sviluppatori fossero disposti a pagare per avere i dati.
Zuckerberg dice anche che gli accordi con gli sviluppatori avrebbero aiutato Facebook a determinare “il reale valore di mercato” dei dati degli utenti e a fissare un prezzo da imporre agli sviluppatori per avere accesso ai quei dati. Tale prezzo poteva essere pagato direttamente in denaro o tramite spese in pubblicità o accordi di data-sharing.
Secondo Nbc, Facebook prevedeva in alcuni casi di “premiare” le società gradite (amici di Zuckerberg, inserzionisti importanti o legati a preziosi accordi di data-sharing) con l’accesso ai dati degli utenti; in altri casi, invece, di escludere da tale accesso le aziende e gli sviluppatori di app rivali. Per esempio, dai documenti risulta che Facebook ha dato ad Amazon ampio accesso ai dati degli utenti perché il colosso di Jeff Bezos era un inserzionista di peso e si era alleato col social network per il lancio dello smartphone Fire. In un altro caso, però, Facebook ha valutato di escludere dall’accesso ai dati dei suoi utenti una app di messaggistica molto popolare che le faceva una temibile concorrenza.
I documenti venuti alla luce scaturiscono da una causa legale in corso in California tra Facebook e una di queste società terze di sviluppo app, Six4Three. Six4Three aveva creato un’applicazione che permetteva alle persone di trovare foto di utenti di Facebook in costume da bagno; il social l’ha eliminata nel 2015 dopo aver modificato le sue policy sulla condivisione dei dati degli utenti con gli sviluppatori esterni. Alcuni dei documenti, che risalgono agli anni 2011-2015, erano già stati resi pubblici dal deputato britannico Damian Collins, che ha aperto un’inchiesta sull’uso dei dati di Facebook; altri sono stati consegnati anonimamente al giornalista investigativo britannico Duncan Campbell e poi messi a disposizione di alcune testate, tra cui Nbc.
Che i dati siano il “nuovo petrolio” non è una novità, ma i documenti interni di Facebook portati ora alla luce – email, webchat, presentazioni, slide, estratti delle riunioni – descrivono con dovizia di particolari come il top management di Menlo Park fosse pronto a mettere un cartellino a ogni informazione fornita dagli iscritti della piattaforma social. I documenti interni sono anche in stridente contrasto con gli impegni sulla privacy assunti da Zuckerberg dopo lo scandalo Cambridge Analytica. Il ceo ha affermato che Facebook “non venderebbe mai” i dati dei suoi iscritti senza il loro consenso.
Va ricordato che i documenti confidenziali risalgono a diversi anni fa; Facebook ha inoltre sostenuto che sono parziali e estrapolati dal contesto e, per questo, fuorvianti. Ciò non toglie che le conversazioni emerse scattino una fotografia, pur se non aggiornata, delle strategie del top management di Menlo Park volte a far leva sul tesoro di dati di Facebook (informazioni sugli iscritti e tutta la rete dei loro amici, incluse le foto) e usarli come vantaggio sulla concorrenza e moneta di scambio con le società partner per lo sviluppo di app.
Facebook ha negato di aver dato trattamento di favore ad alcuni sviluppatori o partner e, chiarisce Nbc, non esiste alcuna accusa contro Facebook da parte delle autorità Usa: nessuna legge è stata violata.