“La protezione dei dati è un presidio per le persone vulnerabili in funzione antidiscriminatoria. E’ il presupposto per una società della dignità, proiezione verso un umanesimo digitale”. Lo ha detto Pasquale Stanzione (nella foto), presidente del Garante per la protezione dei dati personali, durante la presentazione del volume “25 anni di Privacy in Italia. Dalla distanza di cortesia all’algoritmo”, realizzato in occasione della ricorrenza in collaborazione con l’Ansa. “In questi 25 anni – sottolinea Stanzione – il Garante ha conosciuto la trasformazione della privacy, che non è mai un diritto tiranno, è baricentro tra privato e pubblico, tra personale e politico”, e “deve essere sempre in costante bilanciamento tra esigenze globali e collettive”. “La privacy è al servizio dell’uomo in una visione antropocentrica dell’innovazione – conclude – La raccolta irrefrenabile dei dati conduce a un non auspicato processo di monetizzazione della privacy”, mentre si deve tendere a una “sinergia tra libertà, uguaglianza e dignità”.
Secondo Anna Macina, sottosegretario alla Giustizia, “in questi anni ci siamo confrontati con l’emergere di un diritto fondamentale, quello alla riservatezza dei propri dati personali, una sfida ancora da vincere ma che è stata raccolta e che consiste anche nel prendere coscienza del valore dei nostri dati“. “Sono fiduciosa che questa consapevolezza crescerà ancora nel tempo – prosegue – Ancora non si è capito il pieno valore della tutela privacy e di come questa sia anche a garanzia dei più fragili e i più deboli, di tutte le categorie di persone che non hanno pieno accesso agli strumenti della rete”. Per questo secondo Macina quando si tratta di “costruire perimetri di tutela”, “il ruolo del Garante è cruciale. Sappiamo che è un terreno sul quale si devono bilanciare diritti concorrenti. Anche durante la pandemia nell’attività di governo abbiamo dovuto bilanciare i diritti individuali e quelli della collettività”. L’authority in questo contesto rappresenta, secondo la vision della sottosegretaria Macina, “una cerniera che in qualche modo tiene insieme l’io e il noi, i diritti dei singoli e della collettività. E in un momento nel quale l’emergenza, prima della pandemia e poi della guerra, rischia di far retrocedere i diritti dei singoli, è ancora più necessario che l’autorità ne tuteli i livelli di garanzia”.
“Mi sono resa conto in questo anno e mezzo quanto la privacy non sia solo un diritto ma forse una chiave di lettura dei diritti fondamentali e del potere in un passaggio come quello che stiamo vivendo a una società digitale – aggiunge Ginevra Cerrina Feroni, Vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali – L’attività del Garante è a presidio di questi diritti ma anche di un corretto modo di approcciarsi nei confronti dei cittadini”.
Il volume presentato oggi ripercorre l’evoluzione del concetto di privacy in Italia nell’ultimo quarto di secolo, con riferimenti al quadro internazionale, fino a una previsione sugli scenari futuri e sul ruolo che in questo campo avranno le tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, gli algoritmi, la cybersecurity, e i neurodiritti.
Dalla carrellata emerge il ruolo svolto dal garante per tutelare i diritti dei singoli nello sviluppo di interi settori come il lavoro pubblico e privato, la pubblica amministrazione, la sanità, le banche, i partiti politici, i mass media, i social network, le nuove tecnologie. L’attività del Garante è stata inoltre entrale per lo sviluppo della cultura della riservatezza, ad esempio grazie all’utilizzo di strumenti innovativi di soft law, come ad esempio codici deontologici e linee guida, oltre che con l’applicazione di sanzioni amministrative.
Tra i temi affrontati nel libro ci sono il processo di dematerializzazione dei processi, in sanità come nelle attività bancarie, e in quelle della PA, ma anche nel privato con la scomparsa degli album di fotografie e la moltiplicazione delle gallerie su smartphone e social. Poi il passaggio dai social e dai rischi connessi, come phishing, sexting e revenge porn, e il passaggio forzato al digitale dettato dall’emergenza pandemia, anche per quanto riguarda il lavoro con lo smart working e l’esplosione della gig economy, ma anche l’educazione con le lezioni da casa.
“Si puo’ dire che in questi 25 ani il Garante è stato presente ed è intervenuto costantemente a tutela della persona in tutte le sue fasi, ‘dalla culla alla tomba’, e ha dettato alla Pa, alle imprese, alle piattaforme digitali, ai gestori telefonici, ai social le misure necessarie per proteggere i nostri dati personali nella vita reale e in quella virtuale – si legge in una nota – Bastano pochi esempi, oggi sarebbe impensabile e striderebbe chiamare un paziente per nome nella sala d’attesa di un ospedale, o non veder rispettata la distanza di cortesia in banca. Appare, inoltre, inaccettabile vedere sui giornali foto di corpi crivellati di colpi, come quelle che si pubblicavano negli anni 70/80, o articoli che si soffermano su dettagli non essenziali”.