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Vaccini Covid sul posto di lavoro, il Garante privacy: “Trattamento dati solo in capo ai medici”

In attesa di un definitivo assetto regolatorio l’Authority adotta un documento di indirizzo per scongiurare “effetti lesivi dei diritti e delle libertà degli interessati”. Per le aziende nessun accesso alle informazioni

Pubblicato il 14 Mag 2021

vaccini

Privacy e vaccinazioni, sul fronte interviene nuovamente il Garante che in attesa di un definitivo assetto regolatorio adotta un documento di indirizzo sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro “per fornire – si legge in una nota – indicazioni generali sul trattamento dei dati personali“.

La realizzazione dei piani vaccinali per l’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti Covid-19 nei luoghi di lavoro, prevista dal Protocollo nazionale del 6 aprile 2021, costituisce – fa sapere l’authority – “un’iniziativa di sanità pubblica, ragione per la quale la responsabilità generale e la supervisione dell’intero processo rimangono in capo al Servizio sanitario regionale e dovrà essere attuata nel rispetto della disciplina sulla protezione dei dati”.

Competenze del medico e del datore di lavoro

Anche per la vaccinazione sul luogo di lavoro dovrà essere assicurato il rispetto del tradizionale riparto di competenze tra il medico competente e il datore di lavoro, messo in evidenza nel documento sul ruolo del medico competente in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, da oggi disponibile sul sito dell’Autorità.

Nel documento di indirizzo il Garante precisa che “le principali attività di trattamento dati – dalla raccolta delle adesioni, alla somministrazione, alla registrazione nei sistemi regionali dell’avvenuta vaccinazione- devono essere effettuate dal medico competente o da altro personale sanitario appositamente individuato”.

Datore di lavoro: nessun accesso ai dati

Nel quadro delle norme a tutela della dignità e della libertà degli interessati sui luoghi di lavoro, infatti, non è consentito al datore di lavoro raccogliere direttamente dai dipendenti, dal medico compente, o da altri professionisti sanitari o strutture sanitarie, informazioni relative all’intenzione del lavoratore di aderire alla campagna o alla avvenuta somministrazione (o meno) del vaccino e ad altri dati relativi alle sue condizioni di salute.

“Tenuto conto dello squilibrio del rapporto tra datore di lavoratore e dipendente – dice il Garante -, il consenso del lavoratore non può costituire in questi casi un valido presupposto per trattare i dati sulla vaccinazione così come non è consentito far derivare alcuna conseguenza, né positiva né negativa, dall’adesione o meno alla campagna vaccinale”.

Nel documento allegato si ribadisce che “occorre infatti che ciascuno dei soggetti coinvolti nella realizzazione e gestione del piano vaccinale (datore di lavoro, anche in forma associata, medico competente o altro personale sanitario individuato) operi nell’ambito e nei limiti previsti dalla rispettiva disciplina applicabile, che ne costituisce la base giuridica, evitando la confusione di ruoli che può dare adito a una circolazione illecita di informazioni, che potrebbe determinare effetti lesivi dei diritti e delle libertà degli interessati”.

In particolare, “nel quadro dall’ordinamento vigente, anche alla luce delle specifiche disposizioni adottate nella attuale fase emergenziale, deve essere sempre assicurato il rispetto del tradizionale riparto di competenze tra il medico competente e il datore di lavoro“.

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