L’ALLARME

Data center, consumi energetici al raddoppio. L’Onu: “Serve una stretta regolatoria”



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È quanto emerge dal Digital Economy Report secondo cui il consumo di elettricità di sole 13 società vale 460 TWh, più di quello di un Paese come la Francia. Amazon, Alphabet, Microsoft e Meta in testa alla classifica. E secondo l’Agenzia Internazionale dell’energia, da qui al 2026 si balzerà a 1.000 TWh per effetto dell’intelligenza artificiale. In Italia Sherif Rizkalla nuovo Presidente dell’associazione Ida

Aggiornato il 15 lug 2024




La crescita dell’economia digitale sta avendo ripercussioni “sempre più gravi” sull’ambiente, dal consumo di acqua ed elettricità da parte dei data center all’esaurimento delle materie prime. L’allarme arriva direttamente dall’Onu, che nel Digital Economy Report evidenzia l’impatto della rapidissima diffusione a livello globale delle infrastrutture su cui si reggono i servizi di nuova generazione, a partire da quelli costruiti sull’AI.

L’impatto dei data center sul consumo di energia e di acqua

Secondo il rapporto, il consumo stimato di elettricità da parte di 13 dei maggiori operatori di data center è più che raddoppiato tra il 2018 e il 2022; tra i maggiori contributori ci sono Amazon, Alphabet, Microsoft e Meta. Secondo l’Aie, nel 2022, a livello globale, i consumo di elettricità per i data center ammontava a circa 460 TWh, una cifra che potrebbe più che raddoppiare fino a 1.000 TWh entro il 2026. A titolo di confronto, il consumo totale di elettricità in Francia è stato di circa 459 TWh nel 2022.

In alcuni Paesi, d’altra parte, la continua crescita dei data center ha messo a dura prova la rete elettrica locale. In Irlanda, l’utilizzo di elettricità da parte dei data center è più che quadruplicato tra il 2015 e il 2022, rappresentando il 18% del consumo totale di elettricità nel 2022. Le proiezioni indicano che tale percentuale potrebbe raggiungere il 28% entro il 2031.

A Singapore, dove i data center erano responsabili di circa il 7% di tutta la domanda di elettricità nel 2020, il governo ha imposto una moratoria sui nuovi data center, poi sostituita da condizioni più severe sull’uso di elettricità, acqua e terreni da parte delle strutture.

Le tecnologie digitali generano poi un’impronta idrica significativa che costituisce una parte sostanziale del loro impatto ambientale complessivo. I data center non solo hanno un notevole fabbisogno di elettricità, infatti, ma richiedono anche acqua per il raffreddamento. Tuttavia, le informazioni sull’impatto del consumo di acqua sono limitate. L’utilizzo dell’acqua e l’impatto dei data center sulle risorse idriche locali dovrebbero invece essere valutati in un contesto specifico, poiché la scelta della tecnologia di raffreddamento è influenzata dal clima locale e dalla disponibilità delle risorse; il confronto tra regioni con abbondanti scorte d’acqua e quelle che devono affrontare gravi carenze idriche richiede considerazioni molto diverse. Alcune tecnologie di raffreddamento possono funzionare con meno acqua, ma possono consumare più elettricità. Pertanto, l’uso dell’acqua e dell’elettricità da parte dei data center deve essere considerato in modo olistico.

L’appello dell’Onu: serve una stretta regolatoria

Ecco perché in un momento in cui lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sta dando una spinta all’economia digitale, l’Unctad, l’agenzia delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, ha chiesto l’attuazione di “politiche solide per migliorare la sostenibilità della crescita digitale”, sottolineando che i Paesi in via di sviluppo sopportano una quota “sproporzionata” dei danni ambientali. “La digitalizzazione continua a progredire alla velocità della luce, trasformando vite e mezzi di sussistenza”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

“Un’espansione non regolamentata dell’economia digitale rischia di lasciare indietro parte della popolazione e di esacerbare le sfide ambientali”, ha avvertito Guterres. In particolare, ha citato “i rischi di esaurimento delle materie prime utilizzate per le tecnologie digitali, l’aumento del consumo di acqua ed energia, la qualità dell’aria e i rifiuti legati alla digitalizzazione, rischi “accentuati dalle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale”.

Lo scenario globale e le mosse delle big tech

Nel suo rapporto, l’Unctad fornisce numerosi esempi dei danni causati dall’economia digitale. Nel 2020, il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha generato tra 0,69 e 1,6 gigatonnellate di anidride carbonica, ovvero circa l’1,5-3,2% delle emissioni totali di gas serra a livello mondiale. Il loro livello è paragonabile a quello del trasporto aereo o marittimo. Il rapporto mostra anche che la produzione di un computer di due chili richiede circa 800 kg di materie prime. La domanda di minerali necessari per la digitalizzazione, come grafite, litio e cobalto, potrebbe aumentare del 500% da qui al 2050. L’energia necessaria per estrarre Bitcoin è aumentata del 34% tra il 2015 e il 2023, raggiungendo una cifra stimata di 121 TWh, superiore al consumo annuo di elettricità del Belgio o della Finlandia, che non raggiungono i 90 Twh.

Grandi aziende come Google e Microsoft si sono impegnate a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro la fine del decennio. Ma Google ha recentemente registrato un aumento del 48% delle emissioni di gas serra rispetto al 2020, attribuendo l’incremento proprio ai data center necessari per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nel suo rapporto sulla sostenibilità, Microsoft ha riportato un aumento del 29% delle emissioni di gas serra lo scorso anno rispetto al 2020.

C’è poi il tema dell’AI: secondo il rapporto di una banca d’affari statunitense pubblicato il mese scorso, l’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa spingerà i giganti della tecnologia a investire circa 1.000 miliardi di dollari nei prossimi anni, in particolare in centri dati, microprocessori e infrastrutture. Ma per il momento hanno ancora “poco da mostrare” nonostante questi investimenti, ha sottolineato la banca americana, che si chiede se queste ingenti somme saranno ripagate in termini di profitti e ritorni sugli investimenti.

Shamika Sirimanne, responsabile della tecnologia e della logistica presso l’Unctad, ritiene che la domanda su quale sarà l’utilizzo dell’AI non abbia ancora trovato risposta. “Ma prima che sia troppo tardi, dobbiamo avviare questa discussione”.

Ida, Sherif Rizkalla nuovo presidente

Intanto Ida (Italian Datacenter Association) ha eletto Sherif Rizkalla, già tesoriere dell’associazione, come nuovo Presidente, a seguito delle dimissioni di Emmanuel Becker.

“Desidero ringraziare il Presidente Becker per il grande lavoro svolto in questi mesi, che ha permesso di porre basi solide per la futura crescita dell’Associazione, e i miei colleghi, che hanno deciso di darmi fiducia per proseguire questo percorso – ha commentato Rizkalla – I nostri associati sanno che abbiamo ben chiara la rotta da seguire, in totale continuità con i passi compiuti finora. C’è molto lavoro da svolgere per accompagnare la crescita di un settore, quello dei Data Center, cruciale per lo sviluppo economico e digitale dell’intero Paese

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