Innovazione tecnologica, Pubblica amministrazione, patrimonio naturale e storico-artistico. Sono queste le tre priorità d’intervento che l’Italia dovrà affrontare con i fondi del Recovery Plan. Lo dice Fabrizio Balassone, Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia (vedi foto), secondo cui è necessario “dare corso a un insieme di riforme che possa sostenere il processo di sviluppo oltre il breve termine, migliorando l’efficacia dell’azione pubblica, l’ambiente in cui si svolge l’attività di impresa, il funzionamento del mercato del lavoro”.
Le maggiori spese per investimenti derivanti dal Recovery Fund, stimate in oltre 41 miliardi all’anno, “potrebbero tradursi in un aumento cumulato del livello del Pil di circa 3 punti percentuali entro il 2025, con un incremento degli occupati di circa 600mila unità”. Ma a condizione che gli interventi si attuino “in tempi rapidi e senza sprechi” o “i problemi del Paese non sarebbero alleviati dal maggiore indebitamento, ma sarebbero accresciuti”.
Prima area d’intervento: PA digitale
Sul fronte della PA dovrà essere migliorata “qualità e tempi dei servizi offerti, potenziando le capacità tecniche delle amministrazioni centrali e locali, puntando in particolare ad assicurare tempestivamente il pieno rispetto delle regole”.
Ma è un cambiamento che richiede investimenti tanto in tecnologia quanto in capitale umano. “L’esperienza maturata con la crisi – dice Balassone – ha indicato la strada, mostrando la necessità di accelerare la digitalizzazione di tutti i processi e di ripensarne l’organizzazione”.
Come indicato dall’indice Desi l’Italia, con un punteggio di 67,5/100, si trova al 19esimo posto nell’Unione per digitalizzazione della PA, un risultato che “risente in particolare dello scarso livello di interazione online tra le Amministrazioni pubbliche e i cittadini, un ritardo spiegato da fattori sia di domanda (sono pochi gli utenti che si rivolgono alla PA mediante canali digitali), sia di offerta (ad esempio, la ridotta disponibilità di moduli precompilati)”. Un ritardo nell’offerta che potrebbe aver contribuito la composizione demografica della forza lavoro pubblica.
Seconda area d’intervento: innovazione
La seconda area è quella dell’innovazione. Investimenti privati nella manifattura e nei servizi volti ad accrescere la produttività “potranno essere favoriti da programmi pubblici per la realizzazione di infrastrutture abilitanti di nuova generazione – dice Balassone – e in settori ad alto contenuto innovativo, nonché nella qualità del capitale umano e della ricerca”.
Serve il completamento della “copertura del territorio con rete fissa a banda larga ultraveloce”. A cui va però affiancata l’accelerazione della transizione verso un’economia più rispettosa dell’ambiente e con minori emissioni di gas inquinanti.
Nelle valutazioni della Commissione europea l’Italia è al 17esimo posto tra i paesi dell’Unione per grado di sviluppo delle connessioni. La rete fissa a banda larga ultraveloce copre il 30%, contro il 44% della media europea, con una penalizzazione particolarmente accentuata.
Tra i fattori che determinano il ritardo tecnologico del nostro paese vi è il basso livello di investimenti in ricerca e sviluppo che in Italia hanno rappresentato, tra il 2015 e il 2018, solo l’1,4% del PIL, a fronte del 2,2 registrato nell’Unione europea. Il divario riflette ritardi sia del settore pubblico, sia del settore privato (gli investimenti annui per abitante in ricerca e sviluppo ammontano a 235 euro, poco più della metà della media UE).
La ridotta propensione a investire in nuove tecnologie delle imprese italiane risulta ulteriormente frenata dalla difficoltà delle imprese a reperire competenze adeguate nel mercato del lavoro; il minore rendimento dell’istruzione che ne consegue limita gli incentivi dei giovani a proseguire negli studi e incoraggia l’emigrazione di una quota rilevante dei più qualificati.
Ma altrettanto importante è il miglioramento della qualità della scuola e dell’università, da perseguire dedicando maggiori risorse al diritto allo studio e al sostegno della ricerca. La digitalizzazione, la “transizione verde” e il futuro delle giovani generazioni sono del resto le priorità di Next Generation EU; tutti gli interventi attuati grazie al nuovo strumento europeo andrebbero inquadrati in un disegno organico di riforma volto a costruire un Paese più dinamico e inclusivo verso le nuove generazioni.
Non è maggiore la propensione a investire nelle “green technologies”: secondo gli indicatori elaborati dalla Commissione Europea (Eco-Innovation Index) relativi al 2018, l’Italia si colloca al di sotto della media dell’Unione Europea per la spesa in ricerca e sviluppo nelle tecnologie finalizzate a migliorare l’efficienza energetica.
Nonostante alcuni progressivi miglioramenti, anche i livelli di istruzione rimangono contenuti nel confronto internazionale: nel 2019 il 19,6 per cento della popolazione italiana di età compresa tra i 25 e i 64 anni aveva conseguito un titolo di studio terziario, a fronte del 31,6 per cento nella media dell’Unione europea. Anche tra i giovani di 25-34 anni la quota di laureati (27,7 per cento) rimane molto al di sotto della media europea (39,4 per cento). La scarsità di investimenti in istruzione, da una parte, e in innovazione, dall’altra, rischia di innescare un circolo vizioso che amplifica il ritardo produttivo del Paese.
Terza area di intervento: turismo e beni culturali
Infine, la terza area da considerare riguarda la salvaguardia e valorizzazione del nostro patrimonio naturale e storico-artistico, che costituisce l’identità stessa dell’Italia. “La crisi del settore turistico – spiega Balassone – ne ha reso immediatamente percepibile la rilevanza anche economica. Esso può essere preservato e reso fruibile sfruttando maggiormente le nuove tecnologie. Al turismo è direttamente riconducibile, rispettivamente, più del 5 per cento del PIL e oltre il 6 dell’occupazione”.
Ma serve velocità e coerenza
“Al di là degli aspetti finanziari – dice Balassone -, i benefici effettivi che l’Italia potrà ottenere dall’utilizzo dei fondi del nuovo strumento dipenderanno dalla capacità del Paese di proporre interventi in grado di contribuire a rafforzare il potenziale di crescita economica, coerenti con gli obiettivi e i requisiti del programma, e di attuarli in tempi rapidi e senza sprechi. Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza deve fondarsi anche sull’obiettivo imprescindibile di conseguire un sostanziale, progressivo e continuo riequilibrio dei conti pubblici. A questo può contribuire soprattutto il rilancio della crescita, che sarà possibile solo se le risorse saranno impiegate in maniera produttiva; in caso contrario i problemi del Paese non sarebbero alleviati dal maggiore indebitamento, ma sarebbero accresciuti”.