Fa velo la guerra dei dazi che l’America di Donald Trump ha dichiarato alla Cina. Ma sotto c’è anche un altro problema più cogente, con il quale si faranno i conti nel futuro, sostengono in molti: il crescente aumento del costo del lavoro in Cina. Il risultato comunque è che Google, come molte altre aziende, porta la produzione di smartphone e altri device tecnologici fuori dalla Cina.
Secondo indiscrezioni raccolte da Nikkei, Google sposterà la produzione della linea Pixel in Vietnam a partire dalla fine di quest’anno, e sta realizzando una nuova catena di approvvigionamento nel sud-est asiatico che le consenta di avere prezzi bassi per le componenti oltre che per la manodopera. E secondo indiscrezioni anche lo smart speaker Google Home si “trasferirà” altrove.
La società prevede di produrre circa 8-10 milioni di smartphone quest’anno, il doppio rispetto a un anno fa. In questo modo il Vietnam diviene una parte fondamentale della spinta di Google a crescere nel mercato degli smartphone. Per questo Google trasferirà già entro quest’anno parte della produzione del telefono Pixel 3A.
Per i suoi smart speaker è probabile che parte della produzione venga spostata in Thailandia, ma lo sviluppo di nuovi prodotti dell’azienda e la produzione iniziale della sua gamma di nuovi hardware per il momento saranno ancora in Cina.
Google è in buona compagnia: anche gli altri big del tech stanno cercando di disimpegnarsi dalla produzione cinese. Era già successo in passato, ad esempio quando il mercato dell’America Latina aveva alzato i dazi sui prodotti realizzati al di fuori del subcontinente americano, costringendo la taiwanese Foxconn a spostare alcuni dei suoi centri di produzione in Brasile per soddisfare la domanda di tecnologia di più di mezzo miliardo di persone che vivino in America Latina.
Apple prima dell’estate – stando a indiscrezioni – avrebbe manifestato con i suoi fornitori l’intenzione di spostare la produzione fuori della Cina: Tim Cook punterebbe a portare fuori dal Paese il 15-30% della capacità produttiva. E starebbe studiando una riorganizzazione della supply chain. E anche se Stati Uniti e Cina dovessero trovare un accordo che pone fine alla disputa commerciale, la Mela andrebbe comunque avanti con le modifiche nella sua catena di rifornimento per diversificare le fonti di approvvigionamento: troppo rischioso concentrare le attività di rifornimento di componenti e assemblaggio di prodotti in Cina.
Secondo il Nikkei, i maggiori contractor cui l’azienda di Cupertino ha chiesto una valutazione dei costi del trasferimento di parte delle attività fuori dalla Cina sono: Foxconn, Pegatron Corp, Wistron Corp (che producono gli iPhone), Quanta Computer (che assembla i MacBook), Compal Electronics (che mette insieme gli iPad), Inventec, Luxshare-ICT e Goertek (che assemblano gli AirPod).
I paesi verso cui Apple potrebbe far spostare le attività di assemblaggio dei suoi prodotti sono India, Vietnam, Indonesia, Malesia o anche il Messico, ma India e Vietnam sarebbero in pole position per gli iPhone.