Non c’è pace per Samsung e i suoi Galaxy Note 7. La compagnia sud-coreana comunica di aver “modificato” la produzione degli smartphone finiti nell’occhio del ciclone per i difetti alle batterie e i casi di esplosione. A spingere il management del colosso asiatico a rimettere mano alla strategia produttiva la decisione di alcuni grandi distributori americani e tedeschi, che hanno smesso di aderire al ricambio degli oltre 2,5 milioni di esemplari ritirati dal mercato. Gli apparecchi sostitutivi, hanno lamentato l’americana At&T e la tedesca T-Mobile, presentavano gli stessi difetti, ovvero una batteria che, se ricaricata, a volte si surriscaldava fino a esplodere.
“Stiamo modificando i volumi di produzione e intendiamo migliorare il controllo di qualità e consentire investigazioni approfondite sui recenti casi di esplosioni di batterie”, spiega una nota di Samsung diffusa dopo che un’agenzia di stampa sudcoreana aveva riferito di un’interruzione temporanea della produzione, dovuta a una discussione con le autorità a tutela dei consumatori di Seul, Washington e Pechino.
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Gli intoppi che hanno caratterizzato il richiamo avviato lo scorso 2 settembre, che potrebbe costare almeno 1 miliardo di dollari con effetti immediati già nelle ultime due trimestrali 2016, hanno ulteriormente aggravato il danno di immagine subito da Samsung, dopo mesi nei quali i social network sono stati tempestati di foto di Galaxy Note 7 semicarbonizzati, reduci dallo scoppio della batteria. Samsung ha anche preso in considerazione la drastica ipotesi di spegnere a distanza gli smartphone a rischio esplosione già in commercio, nel caso in cui i consumatori si rifiutino di riportarli nei negozi.
La società e la famiglia Lee proprietaria del colosso sono sotto costante pressione degli azionisti, in particolare dell’hedge fund americano Elliott Management, non solo per la grana Note 7 ma anche per le divergenze strategiche di business. Per ora, a nulla sembra servito l’ingresso nel board del “principe” Jay Y. Lee, figlio del presidente e nipote del fondatore, chiamato a ridare slancio alla compagnia in una fase delicatissima, costata carissima in Borsa solo nei giorni successivi allo scoppio dello scandalo: fra settembre e ottobre il titolo ha infatti guadagnato il 7,50%.