Sono sempre di più, a livello mondiale, gli interventi in sala operatoria eseguiti con l’ausilio di robot. “Nel 2014 sono stati 423.000, quasi tutti negli Stati Uniti. In Italia ne abbiamo effettuati 11.100, il 29% dei quali in Lombardia, il 22% in Toscana, l’11% nel Lazio, il 9% in Veneto e a scendere. Sono dati confortanti”. Così a CorCom Maurizio Rizzo, primario di chirurgia generale dell’ospedale dell’Angelo a Mestre e direttore del dipartimento chirurgico dell’Ulss 12 veneziana.
Ed è proprio al dell’Angelo che, ad un anno esatto dalla sua entrata in servizio, il robot operatorio “Da Vinci” si sta rivelando una risorsa importante. Numeri alla mano, infatti, negli ultimi dodici mesi gli interventi effettuati utilizzando le metodiche di chirurgia robotica sono stati ben 143 (51% di urologia, 39% di chirurgia generale, 7% di ginecologia, 3% di otorinolaringoiatria). “È migliorata la casistica affrontata, e quindi il robot viene usato per un ventaglio di interventi sempre maggiore. E sono diminuiti i tempi degli interventi, a vantaggio dei chirurghi e dei pazienti”, spiega il direttore dell’ospedale Onofrio Lamanna, aggiungendo che “l’utilizzo del robot garantisce al paziente minore invasività, sanguinamento e tempi di recupero”.
Dal punto di vista strutturale, il “Da Vinci” (modello Xi IS4000HD) è composto di tre moduli distinti. La console chirurgica è dotata di visore stereo 3D, interfono con il carrello paziente, master destro e sinistro e pedaliera per il controllo di strumenti ed endoscopio, touchpad per il settaggio delle impostazioni; il “carrello paziente” è la parte centrale (che sormonta il tavolo operatorio), ed è dotata di quattro bracci operativi per la gestione di strumenti e telecamera, di laser di puntamento e touchpad di controllo; il “carrello visione”, con monitor touchscreen da 24 pollici ad alta definizione, collegato attraverso cavi in fibra ottica, gestisce le funzioni visive.
“Così strutturato – precisa Rizzo – il robot rappresenta una potente e precisissima estensione del chirurgo, che lo controlla da remoto manovrandolo attraverso una console dedicata”. E ancora, l’acquisizione, per il professionista, “di una visualizzazione eccellente, considerando che la microcamera su endoscopio restituisce al chirurgo immagini ad altissima definizione degli organi interni del paziente”. Quindi l’operatore, “che deve contare su un iter formativo tra i due e i tre mesi nell’utilizzo del robot – sottolinea Rizzo – si trova a operare grazie alle minuscole mani (se così possiamo chiamarle) del ‘Da Vinci’, controllando il loro operato sullo schermo e guidandole, con l’utilizzo di joystick e di pedali, a compiere movimenti controllati al millimetro, impossibili da eseguire per delle mani vere”.