Trovare la quadra sul “dossier” Huawei. E farlo in breve tempo. Il governo italiano dovrà volente o nolente esprimersi sul “caso” cinese anche a fronte del pressing degli americani. Secondo quanto risulta a CorCom le posizioni di Lega e 5 Stelle non sono allineate, e anzi al momento appaiono diametralmente opposte. I leghisti sono orientati sull’esclusione della compagnia cinese dalle reti 5G, per ridurre a zero il rischio paventato dagli Usa, ossia di esporre informazioni sensibili e dati strategici in transito sulle reti di telecomunicazioni.
Più cauta invece la posizione dei grillini, che starebbero studiando, sempre secondo quanto risulta a CorCom, un sistema di certificazione per apparati e dispositivi di rete che consentirebbe di mettere al sicuro i “pezzi” di network più esposti, alias quelli che fanno capo al Core network. A un analogo piano starebbe lavorando anche il governo tedesco, con una sorta di “catalogo” della sicurezza già abbozzato dall’autorità Bnetze e dal dipartimento per la sicurezza informatica (Bsi), che farebbe il paio con regole di certificazione più rigide. E l’operatore Deutsche Telekom starebbe spingendo molto in questa direzione.
La linea soft vedrebbe tra l’altro favorevoli le telco italiane che hanno avviato le sperimentazioni 5G con Huawei e che pertanto temono ritardi sulla timeline dei cantieri 5G. In caso di esclusione dei cinesi gli appalti dovrebbero essere rivisti, con tutte le conseguenze del caso sul fronte operativo e gestionale.
Una soluzione potrebbe essere rappresentata dal “modello” Wind Tre. La società guidata da Jeffrey Hedberg ha appaltato il core network a Ericsson: la questione fu affrontata al tempo del “bando” a Zte da parte degli americani, che costrinse i cinesi ad apportare tutta una serie di “aggiustamenti”, nonché al pagamento di una multa da un miliardo di dollari, per tornare all’operatività.
A seguito della vicenda Wind Tre ha optato per un “riequilibrio”, evitando esclusive ai cinesi proprio in vista della gara 5G. Un modello che potrebbe essere adottato anche da Tim e Vodafone. Il Ceo del Gruppo Vodafone Nick Read ha peraltro annunciato lo scorso 25 gennaio la sospensione di nuovi acquisti di nella rete core relativamente a gli apparati forniti da Huawei. Gli apparati Huawei sono utilizzati in minima parte nella rete core di Vodafone in Spagna e altri mercati minori.
Secondo un articolo della Stampa, l’Italia “metterà al bando sia Huawei sia Zte” e si preparerebbe a esercitare il golden power per rescindere i contratti in essere con i cinesi legati alle reti di quinta generazione mobile. Ma è arrivata prontamente la smentita del Mise: “Con riferimento agli articoli di stampa su una presunta messa al bando delle aziende Huawei e Zte dall’Italia in vista dell’adozione della tecnologia 5G, il Ministero dello Sviluppo Economico smentisce l’intenzione di adottare qualsiasi iniziativa in tal senso – si legge in una nota del Mise – La sicurezza nazionale è una priorità e nel caso in cui si dovessero riscontrare criticità – al momento non emerse – il Mise valuterà l’opportunità di adottare le iniziative di competenza”.
La partita dunque non è chiusa. In ballo ci sono milioni di investimenti e non solo sulle reti. I cinesi hanno avviato nel nostro Paese tutta una serie di iniziative a partire da quelle legate alla formazione di nuove figure professionali per sostenere la digitalizzazione dell’Italia.
Per non parlare poi del peso che l’Italia riveste, sia per Huawei sia per Zte, in materia di 5G: il nostro Paese è diventato di fatto l’hub europeo per le attività legate alla quinta generazione. E sono numerosi i progetti già in fase avanzata portati avanti nelle città coinvolte dalle sperimentazioni del Mise e anche in quelle che hanno deciso di avviare test e iniziative in autonomia, come Roma, per trovarsi pronte all’appuntamento con il 5G.