Aprirà i battenti a marzo, in anticipo di sei mesi rispetto alla roadmap precedentemente prevista (l’apertura era stata fissata a settembre 2021), il Cyber Security Transparency Center di Huawei Italia. È quanto annuncia a CorCom Massimo Mazzocchini, da ottobre nuovo deputy general manager dell’azienda. “Abbiamo deciso di accelerare vista la crescente attenzione sulle questioni legate alla cybersecurity e agli investimenti che stiamo mettendo in campo in Italia per dare vita ad un ecosistema che contribuisca a spingere lo sviluppo di servizi innovativi anche e soprattutto considerata l’importanza del 5G come pilastro della ripresa post-Covid nell’ambito del Next Generation Eu”, spiega Mazzocchini a CorCom.
Mazzocchini, nonostante il ban americano e gli inevitabili impatti sul business continuate a spingere l’acceleratore e a investire sull’Italia.
Assolutamente sì. Il ban americano ha impattato ma Huawei è riuscita a crescere anche nel 2020. Abbiamo le spalle larghe e l’Europa resta chiave per noi. Crediamo molto poi nel ruolo dell’Italia in qualità di leader nel 5G e non a caso l’Italia è stata scelta come Paese sede del Cyber Security Transparency Center, il secondo per importanza dopo quello inaugurato a Bruxelles e che vuole rappresentare un punto di riferimento a livello di clienti e istituzioni.
A proposito di Europa e di relazioni, i vostri competitor hanno dimostrato un certo fairplay. Vero è che gli interessi degli europei in Cina sono molti, ma insomma la difesa è arrivata dai concorrenti più che dai governi.
Credo che per tutti i vendor sia importante un giusto livello di competizione e innovazione: nei mercati dove i fornitori si riducono il livello di innovazione decresce. Più player ci sono più si innesca il circolo virtuoso della spinta agli investimenti. Le aziende sanno competere e vogliono farlo anche per migliorarsi e azioni esterne da parte di soggetti che non appartengono al mercato possono creare più danni che benefici.
Torniamo all’Italia, quali tipo di attività saranno gestite nel centro per la cybersecurity?
Il centro di Roma potrà contare su un team di esperti in loco ed anche sulla squadra internazionale: potranno esserci collegamenti da remoto con figure chiave che possono offrire supporto alle attività. Il nostro sarà un centro aperto a tutti e in particolare alle aziende che vorranno verificare l’affidabilità e la trasparenza del nostro codice sorgente. Di fatto metteremo a disposizione informazioni delicate e strategiche per un’azienda come la nostra e abbiamo deciso di farlo proprio per sgombrare il campo da qualsiasi fake news e dalle false credenze relative alla sicurezza dei nostri apparati e dispositivi. Ci teniamo a un clima di fiducia che è determinante nell’ottica dello sviluppo comune e della crescita Paese.
Il 5G è fra i pilastri della ripresa nell’ambito del Next Generation Eu ed è stato indicato fra le tecnologie chiave anche nel Recovery Plan italiano, anche se si attende ancora la versione definitiva. Come pensa possa intervenire il Governo Draghi?
Crediamo che il Recovery Plan debba contribuire, attraverso le politiche messe in campo, proprio a spingere la creazione dell’ecosistema 5G e del digitale, favorendo la cooperazione pubblico-privata. Certamente bisognerà agire sul fronte della burocrazia: i lacciuoli regolamentari in capo alle telco sono molti e si stanno accumulando ritardi dovuti anche e soprattutto ai provvedimenti anti-5G di molte amministrazioni comunali. E anche a livello legislativo il Golden Power ha sì configurato il perimetro della sicurezza ma anche fatto proliferare attività: fra i processi di notifica e rimpalli dovuti alle autorizzazioni i tempi si dilatano ulteriormente. Ma credo che il vero nodo da scogliere in Italia sia più in generale quello delle competenze: il mismatch sta aumentando e in Italia ci sono già 28.500 professionisti Ict mancanti all’appello. È evidente che le aziende, per quanto debbano fare la loro parte, non hanno gli strumenti per compiere la rivoluzione: serve uno sforzo da parte delle istituzioni a partire dall’aggiornamento dei piani di studio e della collaborazione con le aziende private.
E voi come potete contribuire?
Come sa abbiamo battezzato nel 2013 la nostra Academy e nel 2020 a livello mondiale abbiamo aggiunto extra investimenti per 50 milioni con l’obiettivo di formare 2 milioni di professionisti nel giro di 5 anni. In Italia abbiamo stretto una partnership con Alma Mater Bologna mou per avviare percorsi formativi sull’intelligenza artificiale, considerata fra le tecnologie più promettenti nel nostro Paese come emerge dall’edizione 2020 del Global Connectivity Index, e crediamo che sia un modello vincente e replicabile. Sul fronte dell’R&D, altro pilastro determinante della crescita di un paese, in Italia abbiamo 2 centri e abbiamo iniziato a lanciare joint lab con le università coordinati a monte dai centri di ricerca globale dell’azienda. Con l’Università di Pavia abbiamo battezzato nel 2019 il “Microelectronics Innovation lab” dedicato allo sviluppo di chipset e abbiamo avviato una collaborazione con il Politecnico di Milano che conta su una trentina di persone fra professori, dottorandi e ricercatori, e sull’importante nomina di Umberto Spagnolini, già direttore del Joint Lab, nel ruolo di Huawei Industry chair per la ricerca congiunta per i su argomenti di alto valore industriale oltre che scientifico. In particolare, Spagnolini sarà impegnato nella ricerca sui sistemi wireless beyond 5G ad alta frequenza. Per un’azienda come la nostra si tratta di investimenti importanti perché non si possono calcolare ritorni diretti da queste attività: l’obiettivo è più ambizioso e più alto, cioè quello di far crescere le economie locali. È così che si contribuisce fattivamente e non astrattamente a costruire l’ecosistema.