L'INTERVISTA

5G, Napolitano: “Golden Power rischia di ingolfare le attività di impresa”

Il docente dell’Università Roma Tre e Of Counsel dello studio Chiomenti accende i riflettori sugli impatti delle nuove norme, decreto cibernetico incluso. “Il settore delle Tlc è complesso e a redditività futura incerta. E il principio della prevedibilità della regolazione può svanire”

Pubblicato il 21 Feb 2020

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Con l’applicazione al 5G il Golden power cambia pelle. È c’è sicuramente il rischio di un ingolfamento nell’attività di impresa in un settore, quello delle Tlc, già così complesso e a redditività futura incerta, nonostante il tentativo del Governo di semplificare alcuni adempimenti”. A evidenziare le criticità sul cammino della quinta generazione mobile italiana è Giulio Napolitano, professore ordinario di diritto amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre nonché Of counsel dello studio legale Chiomenti. Il tema del Golden power è fra quelli affrontati nel volume “Foreign Direct Investment Screening. Il controllo sugli investimenti esteri diretti”, da poco pubblicato da Il Mulino e a cura proprio di Napolitano.

Professor Napolitano, come impatterà il Golden Power sul 5G?

I soggetti gravati dagli obblighi di notifica e di adempimento delle eventuali prescrizioni sono le imprese di comunicazione elettronica. Nell’ultimo anno la grande maggioranza dei decreti di esercizio dei poteri speciali riguarda proprio il settore del 5G e le relative prescrizioni sono note soltanto ai singoli destinatari. Così, però, il principio di prevedibilità della regolazione svanisce.

La questione security è diventata una priorità in tutti i Paesi. In Italia il Golden Power è la madre delle soluzioni o potevano esserci altre strade?

Per affrontare la questione della sicurezza del 5G nel mondo sono stati adottati strumenti diversi. Basti pensare agli Stati Uniti, dove il Presidente Trump ha condotto in prima persona una campagna contro gli operatori cinesi a cominciare da Huawei e adottato nel maggio scorso un ordine esecutivo con una serie di rigidi divieti, anche se poi sospesi e rinviati. In Europa, lo scorso gennaio la Commissione europea ha invece prescelto un approccio più calibrato in cui si richiede agli Stati membri di adottare efficaci misure di regolazione e controllo e di prevenire la formazione di posizioni dominanti nel mercato. In questo quadro, il golden power dovrebbe costituire soltanto uno degli strumenti di intervento, insieme alle misure di sicurezza cibernetica, di regolazione e di tutela del mercato, di politica industriale. Il ritardo nell’attuazione della nuova disciplina in materia di sicurezza cibernetica e il più complesso innesco delle misure di politica industriale e di tutela del mercato ha finito per scaricare, almeno per ora, sugli strumenti del golden power la responsabilità di una prima risposta. Ma alla lunga ciò può generare gravi storture e inefficienze.

Quanto pesa e peserà la questione sullo sviluppo del mercato?

Sin dall’inizio il legislatore aveva chiarito che il settore delle comunicazioni elettroniche sarebbe stato uno dei principali oggetti della disciplina in materia di Golden power. Quello che non si immaginava era la sempre più stretta relazione tra comunicazioni elettroniche e sicurezza. La questione è emersa la prima volta “a sorpresa” nel caso Vivendi-Telecom con l’effetto di allargare l’ambito di applicazione della disciplina agli investimenti europei i quali in via di principio beneficerebbero del regime di libera circolazione. Al di là della discussione sulla legittimità o meno di quei provvedimenti, è evidente che l’effetto di spiazzamento del mercato è stato notevole. Non a caso da allora sono enormemente aumentate le notifiche, anche solo a fini prudenziali, per evitare le pesanti sanzioni previste dall’ordinamento. Anche se ciò ha inevitabilmente rallentato e reso più incerte molte operazioni.  Ora che gli orientamenti interpretativi del Governo sono più chiari, la condotta degli investitori è ovviamente più consapevole. Il “rischio golden power” quindi costituisce ormai un elemento naturale, ma costoso, di molte operazioni di investimento cross-border e non solo, come sanno bene i grandi studi legali che le seguono da vicino.

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