L'INTERVISTA

Chan (Huawei): “Presto un nostro Open Lab a Roma”

Il ceo di Huawei Italia: “Studieremo servizi e applicazioni enterprise in collaborazione con le aziende italiane”. Dopo la Cina, è l’Italia il Paese dove si vendono più smartphone col marchio del gruppo

Pubblicato il 18 Apr 2017

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Huawei si espande in Italia. “Speriamo già entro quest’anno, apriremo a Roma un nuovo open lab per i servizi e le applicazioni per il mondo enterprise che passeranno dalle nuove reti fisse e mobili”, annuncia a CorCom Edward Chan, ceo di Huawei Italia. Il laboratorio di Roma si aggiungerà così al Joint Innovation Center realizzato a Pula (Cagliari) in collaborazione con Crs4, e il Centro di Ricerca e Sviluppo di Segrate (Milano) che all’iniziale specializzazione nel microwawe ha aggiunto competenze in wireless e 5G ed è stato rinominato “Milan R&D”.

Perché la decisione di aprire un Open Lab a Roma?

Perché per noi l’Italia non è solo un mercato, ma una base di presenza dall’importanza crescente. Huawei vuole offrire prodotti, ma anche servizi e applicazioni. Questo si può fare soltanto collaborando con i nostri partner, non rinchiudendoci al nostro interno con la pretesa di fare tutto da soli, concentrati nei nostri headquarters. Realizzeremo un “open lab” proprio con l’obiettivo di creare un ecosistema di collaborazione e scambio reciproco con le imprese italiane. E sarà collocato a Roma, dove già abbiamo un importante ufficio, perché vogliamo radicarci ancora di più in questa parte del Paese. Oggi fra Milano e Roma Huawei conta 750 dipendenti.

Huawei corporate ha comunicato risultati che mostrano un altro anno di forte crescita, in particolare del fatturato. E in Italia?

Anche in Italia siamo cresciuti molto bene in tutte le nostre aree di business: consumer, carrier, enterprise. Non possiamo essere che soddisfatti. Prendiamo, ad esempio, il mercato degli smartphone. Lo scorso anno ne abbiamo venduti 4,2 milioni. Si tratta della migliore performance in una country fuori dalla Cina. E ci stiamo sempre più posizionando nella fascia alta. Quando sono arrivato in Italia, a fine 2014, il valore medio venduto di un nostro smartphone era di 140 euro: ora siamo a quota 200.

Come spiega questo successo?

Ha funzionato benissimo la nostra campagna di supporto al brand: la recognition del marchio Huawei è diventata alta e solida. A livello globale la nostra brand awareness ha raggiunto l’81% ma in Italia questo valore è ancora più alto, siamo attestati al 91%. Ma non si tratta solo di marketing di successo. In Italia piace il nostro design moderno e una user experience di grande qualità. Non a caso ci puntiamo sempre di più. Ad attrarre, in particolare, è stata anche la qualità delle fotocamere Leica montate dai nostri smartphone: danno risultati foto e video altissimi e molto apprezzati dagli italiani.

Effetto selfie?

Anche. Ma direi che conta soprattutto il fatto che rispetto ad altri Paesi in Italia c’è un utilizzo più sofisticato del telefono, con un forte utilizzo di applicazioni quali foto e video. Anche per questo gli italiani sono stati fra i più pronti ad apprezzare qualità, prestazioni, user experience dei nostri cellulari. In Italia lo smartphone è diventato un simbolo life-style molto più che altrove.

Alla crescita c’è un limite. Non possiamo avere tre cellulari a testa. E non siete gli unici a vendere cellulari. Il futuro sarà solo un mercato di sostituzione?

Mi sembra una visione ristretta, l’ottica va allargata. I device del futuro non saranno soltanto quelli che mettono in comunicazione gli uomini, ma anche quelli che creano connessioni fra uomini e cose e fra le cose. L’Internet of things farà crescere il mercato delle comunicazioni wireless in un modo che oggi fatichiamo ad immaginare. E non parlo soltanto di device o chipset. C’è tutto un mercato dei servizi e delle applicazioni destinato ad esplodere. Anche se è difficile, ora, dire quali saranno le killer application di domani. Lo dirà il mercato.

Lo Iot si sposa inevitabilmente con il 5G.

Non c’è dubbio. Mi paiono importanti progetti come la 5G initiative dell’Europa. E, soprattutto, l’ambizione dell’Italia di dimostrare alla comunità globale di voler cavalcare le frontiere dell’innovazione e raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si è data. La decisione del governo di testare il 5G in cinque città mi pare significativa. Quanto a Huawei, siamo particolarmente impegnati a proporre anche in Italia le tecnologie che consentiranno il deployment del 5G e lo sviluppo dei servizi. In collaborazione con gli operatori. Ci stiamo già lavorando con i maggiori player. Il 5G dovrà necessariamente avere declinazioni locali.

Ma dovrà anche avere frequenze sufficienti.

Lo spettro radio sarà fondamentale per fornire i nuovi servizi dell’Internet delle cose. Gran parte del traffico sarà rappresentato da applicazioni video, personali e professionali: nel 2020 i video rappresenteranno oltre il 70% del traffico wireless.

Il 5G manca ancora di standard oltre che di network.

La prima commercializzazione non arriverà prima del 2019. Esistono però soluzioni intermedie di 4.5G, lanciate da Huawei già due anni fa, che consentono già oggi di proporre servizi impensabili col 4G. Col 4G la latenza è di 50 ms, col 5G scenderà a 1 ms ma il 4.5G è già arrivato a 10 ms. Con una latenza così bassa si possono offrire servizi impossibili con le tradizionali reti mobili di quarta generazione. Penso che gli operatori dovrebbero posizionarsi su questa linea di frontiera, che consente loro di prepararsi all’arrivo del 5G cominciando ad offrire sin d’ora servizi e applicazioni che anticipano il domani.

Importanti novità sono in arrivo anche network fissi, in particolare con la virtualizzazione delle reti.

È un’altra rivoluzione in arrivo. Vorrei, su questo argomento, sottolineare l’importanza dell’ambizioso sforzo deciso dall’Italia di diventare tra le nazioni leader in Europa nell’ultrabroadband ottico, pur partendo da una posizione di fanalino di coda. Huawei partecipa a questa iniziativa supportando i maggiori operatori come Tim, Open Fiber, Fastweb, Vodafone. La gestione delle nuove reti ed i servizi che vi passeranno sopra saranno cloud based: più che il ferro conterà il software. Da ciò nasce la nostra strategia “All Cloud”, ribadita proprio in questi giorni nel Huawei Global Analyst Summit svoltosi nel nostro headquarter di Shenzhen. Nel 2017 saremo particolarmente focalizzati nel cloud pubblico. Proprio per questo puntiamo a rapporti di collaborazione e di scambio molto stretti con i nostri clienti in tutte le fasi del percorso. E continueremo ad investire massicciamente: nel 2017 vi impegneremo ben 11 milioni di dollari solo in R&D.

E l’ultimo filone, iniziato da poco, dell’enterprise?

Sarà anche l’ultimo in ordine di tempo e il più piccolo, ma è in forte crescita anche in Italia come altrove nel mondo. A livello globale, questo business di Huawei nel 2016 è cresciuto del 47%, in Italia di oltre il 60%. Noi ci crediamo. La riprova è che puntiamo, ad esempio, ad accelerare le iniziative del Joint Innovation Center di Pula per implementare soluzioni di eLTE come quelle sperimentate in occasione del disastro di Rigopiano. Ma non limitiamo il nostro sguardo alla pubblica amministrazione. Stiamo entrando con applicazioni e servizi in industry verticali come banche, energia, trasporti, media.

Ma Huawei come vede Huawei?

Come un’azienda ICT che offre device e network ma anche soluzioni e servizi per operatori di tlc, pubblica amministrazione, aziende, consumatori. Grazie alla nostra capacità di integrare device, che stanno alla base del sistema, network che rappresenta lo strato intermedio e cloud che consente i servizi che corrono sopra la rete. Ma non siamo solipsisti. Ci vediamo all’interno di una piattaforma aperta che ci permette di relazionarci ed interscambiarci sempre più con i nostri partner. Non isolati, ma parte di un ecosistema.

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