Il 5G è la premessa per dare vita all’Internet delle skill. Ampiezza di banda e soprattutto latenza sono infatti i fattori determinanti per permettere alle macchine e alle applicazioni di acquisire e trasmettere quel tocco umano che ci permetterà di interagire naturalmente con gli oggetti. “Ma non solo: sono la chiave per trasferire abilità e democratizzare il lavoro, così come la prima versione di Internet ha democratizzato la conoscenza”. A parlare è Mischa Dohler, Chair Professor, Dept of Informatics del King’s College di Londra. Dohler, che è un vero guru dei network di nuova generazione, è stato uno dei relatori dell’Ericsson Day Italia, l’evento di scena oggi a Milano con cui il colosso delle tecnologie di rete ha celebrato i cento anni di attività nella Penisola.
“Abbiamo sempre considerato l’Industry 4.0 come una rivoluzione sul piano delle comunicazioni, ma si tratta solo di una fase di transizione verso il concetto di Human 4.0”, ha spiegato Dohler. “Infatti le applicazioni industriali e consumer gestite attraverso la comunicazione tra gli oggetti sono allo stato attuale reti che funzionano prevalentemente a livello locale. Per definizione, invece, Internet ha portata globale. E solo nel momento in cui la tecnologia consentirà di gestire macchinari e distribuire le skill da remoto, ovunque nel mondo, potremo parlare di una Internet compiuta”. Per skill Dohler non intende solo le abilità umane trasferite alle macchine (basti pensare alla telemedicina, per fare un esempio), ma anche la capacità delle macchine (ancora in via di sviluppo) di emulare comportamenti umani in modo da rendere l’interazione il più naturale possibile. “In linea teorica e sul piano tecnologico, i veicoli a guida autonoma sono già una realtà: ma quanti di noi si sentirebbero completamente tranquilli salendo su un aereo senza un pilota o su un’automobile senza conducente? Il nostro cervello accetta questa condizione, il nostro cuore un po’ meno. Appianare questo conflitto significa rendere le macchine più umane, quindi più reattive ai nostri stimoli”.
Ovviamente, sottolinea il professore, per far evolvere la user experience e arrivare a questo traguardo occorre ripensare completamente il design delle applicazioni, delle architetture IT e soprattutto dei network globali, favorendo standard tecnologici anziché soluzioni proprietarie.
“Le interazioni umane del resto si giocano sul filo dei millisecondi, e le macchine devono riuscire a emularle, pena l’instabilità del processo di comunicazione”, precisa Dohler, che enuncia tre sfide: “La prima riguarda il superamento del ritardo causato dall’invio e dalla ricezione dei dati. Inutile creare applicazioni con algoritmi di compressione ultraveloci se poi le distanze tra i due punti generano un ritardo fisiologico nella trasmissione delle informazioni. D’altra parte è indispensabile uno slicing end-to-end: serve a poco se in una connessione che attraversa l’Atlantico, da Londra a Los Angeles, per esempio, British Telecom effettua lo slicing mentre Verizon non lo fa”. Per Dohler bisogna piuttosto fornire intelligenza all’ultimo miglio, sfruttando l’AI per apprendere le abitudini dell’utente finale e permettere ai sistemi di prevederne i gesti per anticipare il feedback e creare un effetto real time. Le altre due sfide? Derivano direttamente dalla prima, e riguardano l’ampiezza di banda il design delle reti, che devono necessariamente adattarsi a questo nuovo scenario.
Dohler ha chiuso parlando delle prospettive per la commercializzazione dei servizi basati sul 5G, che sarà la base per la creazione dell’Internet delle skill. “Cosa faremo nel 2020? Sarà fondamentale evitare di ripetere l’errore che abbiamo fatto con l’IoT: bisogna capire chi è disposto a pagare per i nuovi servizi, dato che è questo ciò che definisce la domanda. E rispetto alle telco, è indispensabile passare dalla percezione del costo all’apprezzamento del valore che genera la piattaforma, favorendo processi di co-creazione.