L'EDITORIALE

Ora (anche) il 5G di Stato? Il caos regna sovrano

Secondo il ministro Di Maio la quinta generazione mobile dovrebbe essere “nazionalizzata” al pari della rete in fibra. Una “suggestione” a dir poco bizzarra, considerati gli esborsi a nove zeri per le licenze da parte delle telco. E non solo

Pubblicato il 24 Giu 2020

5g-smartphone

“Se uno Stato vuole fare un investimento nelle telecomunicazioni deve avere una società, che abbia dentro il 5G, la banda ultralarga con la fibra, la rete mobile e la vecchia rete fissa”: questa la dichiarazione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio nella trasmissione “Porta a Porta”.

Il tema della rete unica di Tlc sta diventando sempre più stringente e che se ne debba venire a capo – al di là di quale sia l’esito – è evidente. Non foss’altro per consentire alle due società in questione, Tim e Open Fiber, di poter operare con chiarezza strategica e obiettivi altrettanto chiari in termini di infrastrutturazione. Di Maio, dai tempi in cui era ministro dello Sviluppo economico, caldeggia il progetto della rete unica in fibra. Ma far finire nel “calderone” del dibattito anche il 5G non contribuisce certo all’accelerazione auspicata peraltro da un altro ministro del Governo Conte, Stefano Patuanelli. Anzi, spariglia ulteriormente le carte, creando ulteriore confusione.

Gli operatori di Tlc hanno sborsato cifre a 9 zeri per le licenze 5G laddove per il Piano Banda ultralarga nelle aree bianche sono state messe sul piatto risorse pubbliche. Due pesi e due misure che rendono inconciliabile ad oggi qualsiasi convergenza infrastrutturale. A meno che il governo non voglia, tanto per cominciare, restituire agli operatori il pattuito. Dopodiché cosa si vuole fare? Una grande gara pubblica per affidare a uno o più operatori la realizzazione della rete 5G? Con quali tempistiche e modalità? E come verrebbe garantita la competizione di mercato? La Commissione europea avrebbe rilievi da fare considerato che appena qualche anno fa a fronte della fusione fra Wind e Tre è stata messa come condizio sine qua non la presenza di un quarto operatore mobile a garanzia della competizione? Quanto costerebbero le lungaggini burocratiche sulla roadmap del 5G nazionale, che deve già fare i conti con le centinaia di ordinanze dei sindaci restii? Non sarebbe meglio se il governo si impegnasse in una campagna di comunicazione per rimuovere gli ostacoli sul cammino, dovuti alla disinformazione relativa agli impatti dell’elettrosmog sulla salute umana? E se procedesse ad adeguare i limiti italiani a quelli europei come suggerito, fra gli altri, dal super-consulente Vittorio Colao?

Insomma, aggiungere inutile carne al fuoco al dibattito sulla rete unica di Tlc non è davvero auspicabile né produttivo per sciogliere i nodi – ancora parecchi – a partire da quelli sulla proprietà dell’infrastruttura che stanno facendo procrastinare il braccio di ferro fra gli azionisti di Tim e Open Fiber (Enel potrebbe vendere il suo 50% al fondo Macquaire). Ed è ora che si venga a capo del ruolo di Cassa depositi e prestiti, nel guado con quote sia in Tim sia in Open Fiber.

Tanto per ingarbugliare la faccenda si vocifera di un piano “segreto” che vedrebbe in campo Mediaset con un ruolo di primo piano nella newco per chiudere il contenzioso con Vivendi che diventerebbe il secondo azionista di Tim dietro a Cdp al 25% (ipotesi suggerita da Beppe Grillo che è piaciuta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte). Ma di segreto non c’è proprio niente: sono anni che vanno e vengono le voci dell’eventuale discesa in campo di Mediaset della rete unica. Un dossier che all’occorrenza viene rispolverato a caccia di un deus ex machina.

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