IL CASO

Rai, le poste in gioco (torri incluse)

Il prossimo cda andrà scelto con le nuove norme della riforma 2015. E si troverà sul tavolo non solo la patata bollente dell’informazione. Quale ruolo per Raiway nel futuro incerto del digitale terrestre?

Pubblicato il 26 Mag 2017

Il grande polverone sollevato nei giorni scorsi durante e al termine dell’ultimo Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini non aiuta certo a comprendere bene quali possibili scenari si dipingono non solo per l’Azienda. In gioco ci sono poste che vanno bel oltre la contingenza e le apparenti, spesso formali, prese di posizione dei diversi soggetti in campo.

Un passo indietro. Alla fine del 2015, al termine di un acceso dibattito, viene approvata la nuova legge di riforma della Rai che sostituisce la precedente, la cosiddetta Riforma Gasparri. La Legge contiene novità importanti e cambia completamente lo scenario di riferimento e le prospettive di sviluppo. Ci limitiamo a due punti centrali. In primo luogo viene definita una nuova figura nella sua governance, l’amministratore delegato, che sostituisce il ruolo del precedente Direttore generale. Ne amplia le competenze e responsabilità, snellisce la catena di comando e dovrebbe metterlo nelle condizioni di gestire l’Azienda in modo più efficiente. In secondo luogo, vengono definiti i criteri di nomina, le competenze e il numero dei consiglieri di amministrazione (ridotto da 9 a 7, di cui 4 eletti dal Parlamento, due dal governo, uno dai dipendenti). Così come avvenuto con la Legge 212 del 2004, la nuova disposizione legislativa certamente incide in modo profondo non solo sull’Azienda di Viale Mazzini, ma si riflette sull’intero comparto delle telecomunicazioni del nostro Paese. Non è difficile, infatti, immaginare quali possano essere le ricadute in molteplici ambiti: il primo riguarda le applicazioni delle prossime direttive comunitarie sulla riassegnazione delle frequenze broadcast intorno ai 700 MHz laddove alcuni sostengono che potrebbero anticipare, nel nuovo modello di distribuzione del segnale radiotelevisivo, una specie di fine del DTT. E proprio questa potrebbe essere una delle più sostanziose poste in gioco che dovrebbe avere in carico il prossimo Consiglio di amministrazione Rai, in scadenza la prossima primavera. Ora, è bene ricordare, che in caso di decadenza dell’attuale Consiglio, così come alcuni hanno ipotizzato chiedendone le dimissioni a seguito della “sfiducia virtuale” al DG Antonio Campo Dall’Orto, il nuovo Cda dovrebbe obbligatoriamente essere eletto con i nuovi criteri previsti dalla legge in vigore.

Quando si sostiene che la Rai è lo specchio del Paese, spesso, si sostiene una mezza verità. Proprio nel mezzo della bufera che investe Viale Mazzini, in Parlamento si dibatte della nuova legge elettorale e si fanno i conti sulle possibili convenienze ad andare al voto anticipato. Ed ecco che allora sembra svanire la confusione e si comprendono meglio dinamiche complesse. La domanda è semplice: chi governerà l’Azienda anzitutto nei prossimi mesi, nel pieno di una campagna elettorale dagli esiti incerti? E, di conseguenza, chi governerà l’Azienda una volta assestato il quadro politico e dovrà traghettarla verso i nuovi impegni editoriali, economici e tecnologici?

Alcuni fatti, emersi proprio nei giorni scorsi, forniscono ulteriori elementi di grande interesse. Come è noto, l’Autorità Anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone, ha sollevato da tempo un allarme sulle procedure seguite per l’assunzione di 21 megadirigenti che non sarebbero avvenute secondo quanto prescritto. Sul tema, pende una valutazione della Corte dei Conti che potrebbe essere chiamata a valutare un possibile danno erariale a carico degli amministratori. Il consigliere Paolo Messa, di fronte alla Commissione Parlamentare di Vigilanza, ha sollevato formalmente il problema con il chiaro intento di tirarsene fuori e, infatti, proprio su questo tema poi, ha presentato le sue dimissioni dal Cda. Ciononostante, i DG ancora non ha fornito adeguate risposte e tutti i dirigenti assunti sotto la sua direzione sono al suo posto. Salvo due: il primo, Genseric Cantournet, capo della Security, dimesso a seguito della sua posizione particolarmente indifendibile (era stato selezionato dalla Società dove lavora il padre) e il secondo, Raffaele Agrusti, CFO.

Su questo secondo nome, è opportuno fare una precisazione. A seguito della quotazione in Borsa, avvenuta nel 2014 di Rai Way, prima di allora società consociata a Viale Mazzini, il Presidente della stessa è nominato su indicazione dell’azionista di maggioranza, cioè Rai. Quindi al precedente Camillo Rossotto, è subentrato appunto Agrusti, rinnovato nella carica lo scorso 28 aprile all’Assemblea degli Azionisti. Ora, è bene avere a mente che sulla quotata Rai incombe un fardello di grande rilevanza: la creazione di un polo delle torri nazionale – ad esempio sul modello dell’inglese Arqiva – incaricato di gestire in modo razionale ed efficiente la rete di torri di trasmissioni, oggi di proprietà, per la gran parte di Rai Way e Ei Towers. Come ha più volte dichiarato il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli “si tratta di una scelta di politica industriale vantaggiosa per il Paese ed ha una logica purché sia garantita la presenza pubblica”.

Una società del genere, dove si incrociano non solo le cosiddette torri di media e alta quota, ma anche la banda larga, il 5G e tutto ciò che è destinato alle comunicazioni o alla connessioni IOT, M2M etc, definisce un evento epocale nella strategia industriale del nostro Paese, vedi Industria 4.0, e fa ben comprendere il valore della posta in gioco. Su questo terreno si incrociano i destini dell’attuale DG Rai con il futuro di Rai Way. Siamo in grado di riportare un retroscena interessante. Lo scorso gennaio viene individuato a Viale Mazzini il responsabile CTO, Valerio Zingarelli, come persona in grado di assumere la guida della quotata Rai e prendere il posto dell’uscente Stefano Ciccotti. Intorno al nome di Zingarelli si forma un gruppo di noti e storici dirigenti che abbozzano anche un nuovo piano industriale pronto ad applicarsi ad una nuova società fortemente orientata verso il mercato. Fatto sta che, pochi giorni prima dell’Assemblea degli azionisti, le carte in tavola cambiamo improvvisamente e la candidatura di Zingarelli salta. I giochi quindi appaiono chiusi e, del polo delle torri, apparentemente e per ora, non se parla più.

L’uscita di Agrusti da Viale Mazzini apre quindi due scenari di grande complessità. Il primo riguarda la tenuta dei conti di Viale Mazzini e di chi prenderà il suo posto. Certamente, dopo i rilievi ANAC, ora il job posting interno alla Rai non potrà che essere fatto in modo più che trasparente. I nomi candidabili sono pochi – ragionevolmente due e già presenti nella Direzione Finanza – adeguati a ricoprire quel difficile ruolo e sarà necessario fare in fretta. Incombono infatti scelte urgenti: la soluzione rapida del problema del tetto dei compensi artistici, 240 mila euro, e la corretta impostazione dei criteri di separazione contabile imposti dalla nuova Convenzione.

Il secondo scenario riguarda, come abbiamo scritto, la presidenza di Rai Way. Uno dei limiti, o anche un vantaggio per certi aspetti, della Società di Via Teulada è determinato dal fatto che oltre l’80% dei suoi ricavi proviene dal canone versato da Viale Mazzini per i prossimi venti anni. Questo garantisce certamente buone performance del titolo, e potrebbe costituire un limite “culturale” ai suoi potenziali di sviluppo in un settore ricco di vantaggi ma anche, come detto per il problema 700 MHz, di non poche incognite. Quindi, sostengono in molti a Viale Mazzini, si dovrà pensare ad un nuovo presidente in grado di dialogare con l’esterno, la politica e i competitor, ed avviare una nuova fase di sviluppo.

La partita, non solo per le vicende Rai, è appena all’inizio e presto si potranno vedere i primi risultati.

@patriziorossano

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