CRISI DEL SETTORE

Allarme call center, i sindacati lanciano l’sos a Fornero e Passera

In una missiva inviata ai titolari del Welfare e dello Sviluppo economico Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uilm chiedono l’apertura di un tavolo: “Riduzione dei costi da parte dei committenti e delocalizzazione sregolata mettono a rischio l’occupazione”

Pubblicato il 24 Mag 2012

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Un incontro con i ministri Fornero e Passera per discutere della crisi del settore dei call center. Lo hanno chiesto i segretari generali di Slc Cgil, Emilio Miceli, Fistel Cisl, Vito Vitale e Uilcom Uil, Bruno di Cola, in una missiva inviata ai due ministri. Al centro della lettera la riduzione dei costi da parte dei committenti, l’assenza di regole sulla delocalizzazione in altri paesi, sempre più utilizzata dagli operatori.

“Il settore dei Call Center, passato attraverso varie traversie che hanno contribuito a crearne un’immagine molto negativa – si legge nella lettera – occupa stabilmente oltre 50.000 dipendenti a tempo indeterminato cui vanno sommati quelli impegnati nelle attività di outbound, le attività di vendita o promozionali, che vede altri 40.000 lavoratori assunti, nella quasi totalità, con il contratto a progetto”.

“Negli ultimi anni, queste attività sono state tra le poche a offrire opportunità di lavoro per le fasce più deboli della popolazione attiva – proseguono i sinsacati – Infatti, vi sono occupati prevalentemente giovani, oltre l’ottanta per cento degli occupati sono sotto i 40 anni, con una percentuale di lavoro femminile attestata oltre il settanta per cento. Inoltre, tale settore ha contribuito a creare attività lavorative nelle aree più depresse del Paese, essendosi concentrati prevalentemente al sud, con eccellenze situate in Sicilia, Puglia e Campania. Spesso hanno rappresentato l’unica opportunità di lavoro in zone colpite pesantemente dalla crisi industriale come nel caso di Taranto, Napoli, Palermo e Catania. Il protrarsi della crisi economica, sta determinando una politica di forte riduzione dei costi da parte delle imprese committenti che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa del settore, almeno per quanto riguarda la sua presenza in Italia.”

“Infatti l’assenza di regole chiare per quanto attiene la delocalizzazione delle attività, sta comportando che gli operatori più spregiudicati decidono di spostare quote sempre maggiori di attività verso Paesi in cui il costo del lavoro è sensibilmente minore, mettendo in forte crisi quegli imprenditori che hanno scommesso sul nostro Paese. A questo si aggiunge la riforma del lavoro in discussione in parlamento che, prevedendo regole più certe e migliori per quanto attiene l’utilizzo dei contratti a progetto, regole ampiamente condivise dalle scriventi Organizzazioni, rischia, se non accompagnata da regole certe di mercato per quanto attiene la delocalizzazione, di far perdere tutti i posti di lavoro oggi in essere con un trasferimento delle attività in altri Paesi. La maggior parte degli operatori già si è indirizzata su questo scenario aprendo delle aziende in Paesi esteri.”

“Parafrasando una citazione famosa, il rischio è quello che “il lavoro cattivo scaccia il lavoro buono”, determinando le condizioni per cui, nei prossimi mesi, gli operatori decidano di dismettere le attività gestite in Italia a causa dell’insostenibilità economica aprendo licenziamenti di massa proprio nelle aree del Paese in cui la disoccupazione rappresenta il problema principale – puntualizza la missiva – Inoltre, la delocalizzazione apre scenari inquietanti anche per il rispetto delle leggi e la sicurezza dei dati sensibili dei cittadini, come dimostrano le recenti decisioni assunte dagli Stati Uniti proprio su tale tematica”.

“Da un lato si azzera la possibilità di un controllo reale sulle liste utilizzate per le attività di “out bound” annullando i vantaggi introdotti con il “registro di opposizione”. Infatti, non esiste la possibilità di inviare controlli rispetto ad attività gestite in Paesi terzi – spiegano i sindacati – Dall’altro lato per le attività “in bound” dati sensibili di clienti italiani, a loro insaputa, saranno gestiti da Paesi terzi alcuni dei quali non forniscono sufficienti garanzie di sicurezza e riservatezza”

“E’ del tutto evidente che il combinato disposto della situazione sopra descritta, impone la definizione di regole certe che consentano la prosecuzione delle attività anche nell’ambito del nostro Paese – conclude la lettera – Pertanto, siamo a richiederVi la convocazione di un urgente incontro per definire opportune soluzioni in grado di impedire difficoltà difficilmente sopportabili per l’economia del nostro Paese e che incrementerebbero la tensione sociale esistente già oltre il livello di guardia.”

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