Almaviva non intende battere la strada della delocalizzazione. A
sancire la nuova strategia decisa dalla società guidata da Marco
Tripi, la modifica dello statuto, approvata dal Cda che vincola
l’azienda a non delocalizzare se questo impatta negativamente sui
livelli occupazionali in Italia e su quelli di servizio.
“Il Consiglio di Amministrazione potrà, nei modi di legge e per
il miglior conseguimento dell’oggetto sociale, istituire e
sopprimere sedi secondarie, stabilimenti e uffici di rappresentanza
in altre località, sia in Italia che all’estero – si legge nel
testo – L’istituzione di stabilimenti all’estero, tuttavia, non
potrà avere luogo ove ciò comportasse la conseguenza della
riduzione del numero di dipendenti della Società presso le sedi e
gli stabilimenti in Italia, ovvero del ricorso ad ammortizzatori
sociali”.
“Il settore dei call center – spiega l’Ad, Marco Tripi, in
un’intervista su Affari& Finanza – richiede un elevato livello
qualitativo determinato dalla perfetta conoscenza della lingua
italiana e rilevanti percorsi di formazione continua. Questo
significa che la ridotta offerta di operatori residenti
all’estero padroni della lingua, comporta un gioco al rialzo tra
le imprese attive sul mercato per accaparrarsi i migliori”.
Fulcro della strategia di Almaviva è la sua forza lavoro: 25mila
addetti in tutto il mondo , 14mila in Italia di cui oltre 7mila nel
Sud.
Unico ostacolo potrebbe essere la linea delle imprese in
outsourcing che invece di puntare alla qualità potrebbero
continuare a battere la strada del ribasso dei prezzi rispetto a
quelli medi di mercato.
“Questo – puntualizza Tripi – sarebbe un grave danno per chi
sceglie di investire nel nostro Paese e nella sua forza lavoro. E
rischia di portare con sé due inevitabili conseguenze. Il calo
della qualità e il ricorso agli ammortizzatori sociali come unico
strumento per assorbire i problemi”.