MERCATI

Apple e il mercato: ecco cosa c’è dietro il “down” della Mela

Si è davvero chiuso un ciclo per la creatura di Steve Jobs? O la “pancia” della finanza non perdona il valore del titolo? Perché a ben guardare il successo fuori scala dell’iPhone 6 e le trimestrali non parlano esattamente di insuccesso

Pubblicato il 29 Apr 2016

Antonio Dini

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Una settimana da dimenticare? Apple in pochi giorni ha visto snodarsi una serie di elementi negativi come non capitava da molti anni. Tredici, per la precisione, se si fa riferimento all’ultima volta che una trimestrale ha avuto il segno negativo davanti.

Era infatti dal 2003 che Apple non arretrava sulla crescita, anche se l’azienda mantiene tutt’ora livelli di fatturato da capogiro: Apple in un trimestre ha guadagnato 18,5 miliardi di dollari, più del combinato di Alphabet-Google (4,2 miliardi), Facebook (1,5) e Microsoft (3.8 miliardi). Certo, dicono i difensori della casa di Cupertino, dopo più di 50 trimestri di crescita consecutiva una flessione, peraltro prevista dall’azienda nella sua guidance (che indica anche un calo nel bilancio annuale), ci può sempre stare. Quello che però sta innescando una attenzione particolare sul momento di cambiamento è il sospetto che forse si sia definitivamente chiuso un ciclo.

La trimestrale di Apple è arrivata alle Borse poco dopo l’annuncio del governo giapponese di non voler ritoccare i tassi di interesse dello yen. È stato un uno-due che sta bruciando miliardi di valore nominale delle azioni (Apple ha subito una flessione alla riapertura della Borsa americana di più di 40 miliardi di dollari) ma a cui poi si sono aggiunti anche altri annunci altrettanto “forti”.

A partire dall’annuncio di Carl Icahn, investitore di Apple e uno degli uomini più ricchi al mondo, che ha annunciato di dismettere dal suo portafoglio il pacchetto Apple (45,8 milioni di quote pari a 4,8 miliardi) perché l’azienda è troppo legata al mercato cinese (l’area della Grande Cina che comprende anche Hong Kong e Taiwan ha visto un calo del fatturato di Apple) e alla capacità di quella parte di mondo di orientare i futuri profitti dell’azienda. Pechino ha infatti annunciato due giorni fa di aver bloccato l’utilizzo di iTunes store e quindi la vendita di film, telefilm, libri e app in Cina, per paura di perdere il controllo sui prodotti culturali in circolazione nel proprio paese.

La dismissione di Icahn è stata vista come un segnale per tutti gli investitori e, in un clima negativo per le Borse che hanno lasciato il 3%, Apple è scesa in sette giorni del 10%.

Apple intanto continua la sua strategia “segreta” di sviluppo prodotti. Dal lancio dell’Apple Watch, criticato da molti osservatori ma in realtà un grande successo di pubblico con un valore miliardario di venduto che supera quello ad esempio della fondazione Rolex, l’attesa si è spostata verso nuovi annunci roboanti. L’Apple Car ad esempio, che dovrebbe essere un veicolo elettrico a guida parzialmente autonoma, innovativo come design e utilizzo e forse in competizione con la Model 3 di Tesla (che prima del 2018 non arriverà) e le auto elettriche in lavorazione da parte della concorrenza “ibrida”: da Google a Ford passando più o meno per tutti i grandi del settore. Indicatore del fatto che il mercato dell’elettrico sia destinato a crescere sempre più è ad esempio l’annuncio di Berlino che ha stanziato un miliardo di euro per la crescita di questo settore in Germania, con incentivi agli acquisti e investimenti sull’infrastruttura di rifornimento elettrico che dovrà coprire in maniera capillare tutto il paese entro il 2020.

Tra le spiegazioni per la flessione della trimestrale di Apple quella che più si avvicina a definire i contorni della nuova velocità di Apple è l’eccessivo successo di iPhone 6 un anno fa. Il telefono di Apple che aveva inaugurato le dimensioni più generose dello schermo dei melafonini ha infatti segnato una inedita crescita del 50% anno su anno, passando da 51,03 a 74,47 milioni di pezzi in un trimestre. Il più grande salto in avanti nelle vendite trimestrali anno su anno dai tempi dell’introduzione dell’iPhone 4S (che era stata ritardata di un trimestre, passando dalla fine della primavera all’inizio dell’autunno, come è attualmente).

Quello che Apple pagherebbe in questa trimestrale, sostanzialmente, sarebbe il doppio fattore della stagionalità delle vendite di iPhone (che sono diventate piatte ma non calate) e il successo fuori scala dell’iPhone di un anno fa. Se si guarda, sostengono alcuni analisti, le vendite dei telefoni nel secondo trimestre dell’anno escludendo il 2015, la retta dal 2008 a oggi è in crescita lineare costante e regolare.

Ma il business e soprattutto la finanza non sono fatti solo di razionalità. C’è la macchina delle aspettative, c’è la spinta speculativa di alcune tipologie di investitori, che forse vogliono ridimensionare il valore del titolo di Apple per motivi diversi. C’è da dire che in questa fase il valore che Apple è in grado di generare è impressionante: l’80% dei dollari creati dall’innovazione della Silicon Valley finiscono nelle casse di Cupertino. Le sue trimestrali valgono quanto se non più degli annunci delle banche centrali di uno dei paesi del G8. Cosa riserva il futuro è quasi impossibile dirlo, anche perché ormai più che il business è la grande politica internazionale quella che dominerà sempre più la velocità di crescita e i volumi di prodotti di Apple.

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