L’Unione europea è pronta ad infliggere ad Apple una multa record da diversi miliardi di dollari per gli accordi fiscali in Irlanda. Lo riporta il Financial Times, sottolineando che i risultati preliminari di un’indagine saranno diffusi a breve e dovrebbero mettere in evidenza che Apple ha ricevuto aiuti di Stato illegali con gli accordi fiscali in Irlanda.
L’inchiesta su Apple rientra in quella più ampia sulle multinazionali e gli accordi fiscali che hanno ottenuto da alcuni Paesi europei. ”Non c’è mai stato un accordo speciale, niente che possa essere considerato aiuto di Stato” afferma il chief financial officer di Apple, Luca Maestri intervistato dal FT, sottolineando che Apple ”non ha fatto nulla contro la legge. Siamo fiduciosi sul fatto che l’indagine mostri che non c’è stato alcun trattamento di favore in nessun momento”. E’ lo stesso Maestri ad annunciare l’arrivo della sanzione pesantissima “dell’ordine di miliardi di dollari”.
A giugno la Commissione europea ha aperto una indagine per esaminare se le decisioni prese dalle autorità fiscali di Olanda, Lussemburgo e Irlanda in materia di tassazione dell’attività di diverse multinazionali, tra cui Apple, Starbucks e Fiat, siano compatibili con le norme Ue sugli aiuti di stato.
“Nel contesto di bilanci ridotti è importante che le grandi multinazionali paghino la loro parte di tasse – spiegava il commissario Joaquin Almunia – “Le regole Ue impediscono agli Stati di adottare misure che permettono a certe imprese di pagare meno tasse rispetto a quelle che dovrebbero versare se le regole fiscali fossero applicate equamente e in modo non discriminatorio”.
In occasione dell’apertura dell’indagine, il commissario per la Concorrenza aveva fatto sapere di aver chiesto informazioni al governo irlandese sul particolare regime da paradiso fiscale concesso alle imprese straniere. Analoga indagine era stata rivelata dal Senato americano sui benefici fiscali ottenuti dalla Apple attraverso società domiciliate nella città irlandese di Cork. Tra gli OTT, oltre a Apple, anche Google, Facebook, Amazon ed eBay hanno le loro sedi fiscali tra Irlanda e Lussemburgo, e finiscono per pagare pochissime tasse sui miliardi di prodotti e servizi che vendono nei paesi della Comunità.
La Commissisone ha indagato appunto sulla possibilità che questi i regimi fiscali dei paesi sopracitati non finiscano per configurare un aiuto di Stato, a favore di queste grandi società con attività – e relativi fatturati da vendite – ramificate in più paesi.
Bruxelles ha aperto l’indagine a seguito di articoli di stampa secondo i quali alcuni aziende avevano beneficiato di riduzioni di imposta accordate loro tramite “decisioni anticipate in materia fiscale” – il cosiddetto tax rulings – prese dagli stati nazionali.
Queste decisioni sono utilizzate per confermare i cosiddetti prezzi di trasferimento ovvero quelli fatturati per transazioni commerciali tra entità differenti di uno stesso gruppo. I prezzi di trasferimento, spiegava a giugno la Commissione, influenzano la ripartizione dei guadagni imponibili tra le filiali di un gruppo stabilite nei diversi paesi. Se le autorità fiscali nazionali, al momento di accettare il calcolo della base di imposta proposto da una impresa spingono per remunerare una filiale o una succursale alle condizioni di mercato, si esclude la presenza di un aiuto di Stato; ma se il calcolo non si fonda su le condizioni predette, “è possibile che l’impresa benefici di un trattamento più favorevole di quello che sarebbe normalmente riservato ad altri contribuenti”, sottolineava la Ue.