VERSO IL CDA

Asati: “Con scorporo rete aumento di Pil e occupazione”

Secondo lo studio commissionato dall’associazione che rappresenta i piccoli azionisti di Telecom Italia, lo spin off garantirebbe una crescita dei posti di lavoro pari a 30mila unità in cinque anni e un aumento del prodotto interno lordo dello 0,3% per i prossimi 8. La rete “scorporata” vale 15 miliardi

Pubblicato il 05 Dic 2012

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Aumento del volume degli investimenti annui di circa 350 milioni l’anno, nuovi posti di lavoro pari a 30mila unità in cinque anni e impatti sul Pil nazionale pari allo 0,3%. Sono i benefici dello scorporo delle rete di Telecom Italia rilevati da uno studio commissionato da Asati che prende in considerazione anche un contestuale intervento finanziario della Cassa Depositi e Prestiti pari a 3 miliardi di euro e un valore della rete a 15 miliardi. Entrando nel dettaglio lo spin off garantirebbe il mantenimento degli attuali livelli occupazionali (diretti, indiretti e nell’indotto) per il primo biennio nonché nuovi posti di lavoro che nell’arco dei successivi 5 anni possono raggiungere le 30 mila unità. Circa l’impatto sul Pil lo studio stima potrebbe aumentare di 0,3 punti l’anno per i prossimi 7/8 anni per effetto “ dell’accentuazione delle telecomunicazioni su diversi aspetti socio-economici come la telemedicina, il telelavoro,la teleassistenza, la domotica, la videosorveglianza, il monitoraggio ambientale dei livelli delle acque e della sismologia, il supporto alle PMI e il “made in Italy”, spiega Asati.

Benefici deriverebbero anche in temini di riduzione del “digital divide” – considerando una adeguata attenzione alle zone a “fallimento” di mercato in modo che i benefici ricadano sull’intero Paese e non solo sulle zone più ricche – nonché un miglioramento della qualità del servizio da parte degli operatori.

Lo spin off stimolerebbe anche un aumento delle risorse per la ricerca, l’innovazione da parte degli operatori e in particolare di Telecom Italia. Questi benefici – spiega Asati – Detti benefici dipendono dalle variabili assunte relative, in particolare, al perimetro e alla valutazione delle infrastrutture di rete scorporate da Telecom Italia, l’apporto della Cdp, il programma di investimento della new-co e il relativo livello di autofinanziamento, dipendente dai ricavi ipotizzati e dai costi”. In sintesi, i principali parametri del business plan sono: valore della rete 15 miliardi Wacc 7 %; canoni mensili medi per linea (rame: 9.24 euro; fibra 13 euro); indebitamento iniziale della new-co: 6 mldi; apporto Cdp 3 mldi; quota azionaria Cdp 20-25%.

“Forte” di questi numeri Asati chiede “ nell’interesse del Paese e anche a salvaguardia di TI, di valutare attentamente la possibilita’ di una sinergia nell’intervento della Cdp sulla rete di TI, in assenza del quale avverrà solo una guerra tra poveri tra Cdp-F2i-Metroweb e la stessa TI”.

“Tale competizione vedrebbe l’investimento delle poche risorse economiche disponibili senza ottimizzazione delle stesse , e solo nelle aree ricche del Paese mentre in quelle più povere, dove una classe politica intelligente e lungimirante – puntualizza l’associazione dei piccoli azionisti – avrebbe dovuto dare indirizzi su investimenti, già da molto in sintonia sulle reti a larga banda perché in quelle aree c’è più bisogno di servizi, dell’abolizione del digital divide e di più posti di lavoro”.

Secondo Asati la costituzione di una newco contenente la rete di accesso di Telecom, con una partecipazione di Cdp che potrebbe partecipare in maniera significativa, con un modello che fa evolvere l’attuale struttura di “Open Access” verso un modello “Open Reach” con una governance regolata dal principio dell’equivalence of input normato dall’Agcom, non può assolutamente considerarsi un aiuto di stato o un bieco ritorno alla statalizzazione”.

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