"Per rilanciare il ruolo delle tlc quale volano per lo
sviluppo del Paese occorre lasciare agli operatori la libertà di
gestire la rete e sperimentare nuovi modelli di business, dando
valore all'offerta di banda e alla qualità del servizio".
Lo chiedono Asstel, l'associazione presieduta da Stefano
Parisi, e i sindacati dal Forum della filiera delle
telecomunicazioni, appuntamento annuale di studio e approfondimento
sugli scenari e le prospettive del settore.
Il settore delle tlc in Italia ha sofferto nel 2010 un calo dei
ricavi (-2,6%) e dell'occupazione (- 6,9%) e un forte ritardo
sui servizi a banda larga come mostra il secondo rapporto sulla
filiera delle Tlc in Italia presentato al Forum a cui hanno
partecipato i Segretari Generali di Slc/Cgil, Fistel/Cisl,
Uilcom/Uil e i vertici delle aziende aderenti ad Asstel.
Continuano invece a scendere i prezzi (-8%) e nonostante questo gli
operatori italiani hanno mantenuto costanti gli investimenti (6
miliardi di euro) e hanno determinato un'ulteriore espansione
infrastrutturale, in particolare un incremento del 6% nel tracciato
in fibra ottica (per un totale di 140mila chilometri).
Il contributo del settore al Pil, si legge in una nota, scende
dall'1,7% del 2009 all'1,6% nel 2010, mentre, nello stesso
periodo, il margine operativo lordo degli operatori telefonici si
è ridotto dell'1,2 per cento. "Resta preoccupante il
ritardo italiano nella banda larga fissa con 54% di penetrazione
(accessi su famiglie), a fronte del 78% del Francia, 72% della Gran
Bretagna, 65% della Germania e 61% della Spagna" si legge nel
rapporto.
L'Italia, con 93 milioni di linee mobili e una penetrazione del
10% della banda larga mobile, mantiene la leadership europea nello
sviluppo e nell'adozione di servizi di rete mobile ma solo il
30% degli accessi in banda larga mobile espande il mercato delle
famiglie in banda larga, mentre il restante 70% riguarda famiglie
che hanno già accesso a banda larga da rete fissa.
La colpa però secondo il rapporto è di fattori di natura sociale
e culturale: il 40% della popolazione adulta non ha mai usato il pc
e, tra gli over 55 anni, ben l'80% non usa internet (50% in
UK). Forte è anche la disomogeneità rilevata tra diverse aree
geografiche del Paese. Quanto alle imprese, il ritardo tocca in
modo particolare quelle di dimensioni medio-piccole.
Le risposte strategiche sono innanzitutto "l'attuazione di
piani e iniziative coerenti con un'Agenda digitale italiana in
linea con quella dettata a livello Ue – conclude il rapporto –
favorire la crescita della domanda di servizi digitali, un vero e
proprio pressing sull'uso delle tecnologie per creare le
condizioni del superamento delle barriere e per la semplificazione
dei processi burocratici. Inoltre, suggeriscono i partecipanti al
Forum, alla crescita del traffico online deve accompagnarsi un
modello di business che consenta di remunerare e garantire gli
investimenti necessari per potenziare le reti e assicurare un
corretto rapporto prezzo-qualità".
Il processo di depauperamento del settore è evidente considerando
che in cinque anni il totale dei ricavi della filiera si è
abbassato del 10,5%, passando dai 57,5 miliardi di euro del 2006 ai
51,5 miliardi di fine 2010.
In particolare, lo sviluppo dei servizi a banda larga risulta
ancora troppo lento e non riesce a compensare la perdita di
fatturato relativa ai servizi voce, dovuta a un ulteriore calo dei
prezzi nel 2010 (-8% rispetto al 2006), già molto competitivi
rispetto agli altri Paesi Ue5 soprattutto nel mobile, e alla
pressione dei servizi VoIP Ott (Over The Top) e di
messaggistica.
Questa flessione di margini e ricavi ha impattato negativamente sui
livelli occupazionali della filiera, che a fine 2010 contava
129mila addetti, con un calo del 6,9% rispetto all’anno
precedente. Tuttavia, nonostante l’incertezza sui ritorni
determinata dall’attuale situazione di mercato, gli investimenti
degli operatori italiani, pur contraendosi da 7,3 miliardi di euro
nel 2006 a 6 miliardi nel 2010, restano tra i più elevati in
proporzione ai ricavi tra i Paesi dell’Ue5.
Con il 14% degli investimenti sul totale dei ricavi l’Italia è
seconda solo alla Gran Bretagna (17%), precedendo Germania (12%),
Spagna e Francia (ambedue all’11%).