Sono almeno tre i fronti su cui le autorità comunitarie sono al lavoro per “aggiornare” il quadro normativo europeo al boom dei servizi online di video on demand, in particolare (ma non solo) all’ombra dello sbarco sul continente di Netflix. Sul tappeto c’è anzitutto la revisione dell’ultima direttiva del 2010 sui “Servizi di media audiovisivi” i cui primi dettagli non dovrebbero però emergere prima del 2016. Più urgente agli occhi della nuova Commissione europea è il cantiere del copyright, tanto che una proposta di riforma è attesa a Bruxelles già per questa primavera. Senza dimenticare da ultimo il nodo della fiscalità dell’economia digitale.
La disfida per l’Ue è duplice: assicurare per un verso parità di trattamento tra vecchi e nuovi attori, cioè broadcaster tradizionali e Ott, siano essi europei o extra-Ue. E nel contempo rimuovere gli ostacoli alla fruizione, specialmente transfrontaliera, di contenuti digitali (soprattutto quelli video), e all’espansione commerciale delle aziende, molte delle quali europee, che operano nel settore dello streaming.
Il primo capitolo è già andato in scena con l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2015 delle nuove norme comunitarie relative all’Iva sui prodotti digitali. In chiaro: il calcolo (e il pagamento) dell’imposta sul valore aggiunto non avverrà più nel paese del venditore, bensì in quello dell’acquirente.
Il nuovo regime impatta anche sulle piattaforme di streaming. Per dire, Amazon e Netflix, avendo le proprie sedi legali europee rispettivamente in Lussemburgo e Olanda, non saranno più soggette alle aliquote “rasoterra” di quei paesi quando i loro servizi sono venduti ad utenti residenti in un altro stato Ue. Certo, si tratta solo di un primo passo per arginare il presunto strapotere, e le acrobazie fiscali, dei giganti americani del web. Un passo che non metterà certo a tacere le rimostranze di alcune capitali, Parigi in testa, tanto è vero che il presidente transalpino François Hollande lo ha di recente bollato come “insufficiente”.
La Francia, su pressione dell’influente industria cinematografica e televisiva nazionale che più di ogni altra è entrata in agitazione per il recente lancio di Netflix nel paese, ha negli ultimi mesi aumentato il pressing su Bruxelles. Non solo esigendo un’azione più decisa sul terreno fiscale. Ma anche un rapido riordino della normativa europea sul mercato dell’audiovisivo. L’obiettivo dichiarato, nelle parole dell’ex ministro francese all’Economia digitale Fleur Pellerin, è “fare in modo che i servizi audiovisivi siano tutti soggetti agli stessi obblighi legali nei singoli paesi in cui trasmettono”. Per il momento, in effetti, non è così. Il quadro comunitario sulla materia è imperniato sul principio del “paese di origine”. Significa, ad esempio, che pur operando i propri servizi in più di 10 paesi Ue, Netflix è assoggettata in ultima analisi solo ai vincoli contemplati dalla legge olandese che ha trasposto la direttiva europea sui servizi audiovisivi: vincoli diversi (e di certo meno stringenti) rispetto a quelli in vigore a Parigi. E si tratta di un dettaglio non da poco: secondo la medesima legislazione comunitaria, anche i servizi di video on demand sono tenuti a garantire “sostegno”, soprattutto finanziario, “alla produzione e alla distribuzione di opere europee”, ma solo nello stato in cui hanno sede legale.
Il guaio è che i lavori a Bruxelles procedono a scartamento ridotto. La direttiva è al momento oggetto di una dettagliata disamina da parte della Commissione Ue intesa a testarne la conformità ai mutati scenari di mercato, e che secondo il programma di lavoro della stessa istituzione non dovrebbe concludersi che tra 12 mesi. Una vera e propria proposta di revisione non si materializzerà pertanto prima della seconda metà del 2016.
A tenere banco nei palazzi comunitari in questo momento è del resto la riforma del copyright, sulla quale si alzerà il sipario nel mese di maggio. In questo caso la Commissione punta a mettere in pista un quadro sul diritto d’autore più armonizzato e al passo con le evoluzioni dell’economia digitale: ad esempio promuovendo un regime paneuropeo per la concessione delle licenze, o ancora favorendo la fruizione e la portabilità transnazionali dei servizi digitali. Tutte novità che porteranno ampi benefici ai consumatori. Ma anche ai servizi come Netflix che in tutta evidenza soffrono l’elevato livello di frammentazione in Europa delle leggi sul copyright, dovendo ad esempio negoziare le licenze paese per paese.