E’ caos sui fondi europei destinati al digitale. Ci sono o non ci sono le risorse comunitarie per la banda larga e la digitalizzazione del Paese? La domanda è fondamentale, soprattutto in questi giorni in cui l’Italia sta affinando l’Accordo di partenariato, il documento di strategia di livello nazionale che indica gli interventi su cui si concentreranno l’impiego dei fondi strutturali europei nell’ambito della Politica di coesione per il ciclo 2014-2020. L’accordo dedica all’Agenda digitale un obiettivo tematico della politica di coesione europea 2014-2020. Si tratta dell’OT2 sul miglioramento dell’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonché sull’impiego e la qualità delle medesime.
Secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa questi soldi non ci sarebbero, con impatti negativi sui piani regionali e nazionali anti digital divide. In ordine di tempo l’ultima ad entrare nel merito è stata Rossella Lehnus. In un articolo pubblicato sul sito agendadigitale.eu del Corriere delle Comunicazioni, l’esperta di fondi europei e banda larga e collaboratrice del Mise sottolinea appunto che di fondi Ue per le reti non ci sono e che, comunque, non ci sono abbastanza risorse “rispetto ai 10 miliardi di euro richiesti dall’Agenzia per l’Italia digitale”. Secondo Lehnus ad oggi ci sono solo 3,6 miliardi di euro per “l’accesso alle tecnologie digitali”, quindi all’e-gov. Più ingenerale evidenzia che si assegnano fondi “senza un piano organico, ma con cose slegate tra loro e dal resto dello sviluppo economico”.
In una successiva versione dell’articolo Lehnus dettaglia la sua riflessione precisando che per la banda ultralarga si assegano “solo fondi statali – una quota non precisata dei 54 miliardi dei fondi sviluppo e coesione – e solo dal 2017”, perdendo “tre anni nella pianificazione delle nuove reti”.
Su Twitter ieri il ministro per la Coesione Territoriale Carlo Trigilia aveva precisato che per la banda larga i fondi sarebbero stati solo “nazionali”.
Il Corriere delle Comunicazioni ha provato ad approfondire la questione sentendo chi si sta occupando della programmazione 2014-2020 ovvero il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica (Dps) del Mise. “La bozza informale di Accordo di Partenariato inviata alla Commissione europea lo scorso 9 dicembre destina all’OT2 1,8 miliardi di euro del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), solo quota comunitaria – spiega al nostro giornale il Capo del Dps, Sabina De Luca – Di questo il 35%, ovvero, 630 milioni, di euro è allocato per il raggiungimento del risultato atteso riguardante la connettività in banda larga e ultra larga. Alle risorse comunitarie si aggiungerà il cofinanziamento nazionale in una misura pressoché equivalente alla quota comunitaria”.
In ogni caso oltre alle risorse assicurate dalla programmazione comunitaria, nel periodo 2014-2020, evidenzia ancora De Luca “saranno disponibili anche i finanziamenti, tutti nazionali, del Fondo Sviluppo e Coesione, sulla base di quanto previsto dalla legge di Stabilità 2014, parte dei quali potrà contribuire ulteriormente a sostenere l’Agenda digitale”.
In particolare, le linee di indirizzo strategico per l’Obiettivo tematico 2, inserite nell’Accordo di Partenariato, prevedono, in primo luogo, di ridurre i divari digitali nei territori e di diffondere la banda larga e ultra larga nonché di concorrere all’attuazione del “Progetto strategico Agenda digitale per la banda ultra larga” e di altri interventi programmati nei territori per assicurare una capacità di connessione ad almeno 30Mbps. Sul fronte connettività inoltre si punta a completare il Piano Nazionale Banda Larga nei territori che, eventualmente, non avessero ancora una copertura stabile di connettività in banda larga ad almeno 2Mbps al 2013.
Per quanto riguarda la digitalizzazione dei processi amministrativi e diffusione di servizi digitali della PA, i fondi Ue serviranno a favorire l’interoperabilità delle banche dati pubbliche, anche attraverso l’utilizzo di soluzioni cloud e l’innovazione dei processi della PA in particolare su sanità, giustizia, beni culturali nel quadro del Sistema Pubblico di Connettività, inclusa l’offerta di servizi pubblici digitali e il ricorso al cloud computing. Infine a potenziare la domanda di Ict dei cittadini ela diffusione della competenze digitali, mettendo in campo azioni mirate verso i non-utilizzatori di Internet e Ict cittadini o imprse che siano.
“A questi interventi – conclude De Luca – si aggiungono quelli più specificamente rivolti alla diffusione dell’Ict nelle imprese previsti nell’Obiettivo 3 dell’accordo sulla Competitività dei sistemi produttivi”.
C’è poi il giallo sui fondi Ue che dovrebbero finanziare la parte “digitale” del Destinazione Italia. Come riporta oggi Il Sole 24 Ore potrebbero saltare per il credito di imposta per la ricerca, gli incentivi alle Pmi digitali e il bonus per l’acquisto di libri. Per il provvedimento che ieri ha debuttato alla Camera, c’è un problema legato alla bozza di accordo di partenariato tra Ue e Italia sulla programmazione 214-2020 che riguarderebbe solo le regioni meno sviluppato (Sardegna, Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) e non le altre.
A quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni il ministero per lo Sviluppo economico si sta già muovendo per ottenere l’estensione anche alle altre regioni, anche perché l’alternativa – ovvero chiedere alle regioni del Nord di usare fondi proprio – appare assai poco percorribile.
In gioco ci sono pezzi importanti dell’innovazione del sistema paese. Il Destinazione Italia prevede che il credito di imposta per ricerca e sviluppo sia coperto con 600 milioni per il periodo 2014-2016 mentre per finanziare i voucher destinati alle Pmi che investono in Ict servono 100 milioni. Altri 50 milioni sono destinati al credito di imposta per l’acquisto di e-book.
La stessa bozza di accordo tra Ue e Italia lascia aperti spiragli, specificando che “la definizione dei programmi operativi è ancora in corso”. Correre ai ripari è dunque possibile prima di formalizzare lo schema dei programmi alla Ue per avere l’ok definitivo e quindi la copertura certa dei programmi. Ma per fare tutto ciò potrebbe servire anche un anno dato che gli interventi necessitano di regolamenti attuativi.