“A conferma che non c’è nessuna discriminazione degli operatori mobili, lo sblocca Italia ha introdotto per la prima volta norme di semplificazione per l’installazione di antenne, come richiesto da tempo. Non solo: finalmente la posa della fibra è stata equiparata a un’opera di urbanizzazione primaria ed è obbligatoria l’etichetta ‘broadband ready’ per i nuovi edifici”. Lo afferma Antonello Giacomelli, sottosegretario al Mise con delega alle Comunicazioni, rispondendo dalle pagine di Repubblica Affari&Finanza alle perplessità sul decreto avanzate da Cesare Avenia, presidente di Asstel.
“Quando parliamo di credito d’imposta – continua Giacomelli – intendiamo soldi pubblici che lo stato sconta ai privati, non solti privati ‘bruciati’, anche perché i 6 miliardi di investimenti delle telco citati da Avenia (aggiuntivi rispetto ai piani dichiarati prima dello sblocca Italia) non compaiono in nessun documento ufficiale e, per ora, restano solo un flatus vocis. E proprio perché parliamo di denaro dei contribuenti è nostro dovere non trasformarlo in un obolo alle lobby, ma indirizzarlo agli obiettivi dell’agenda europea 2020”.
Nello specifico, Giacomelli risponde poi a tre obiezioni che erano state sollevate dal presidente di Asstel rispetto ai nuovi criteri introdotti dal decreto. Quanto al “fattore di contemporaneità” per almeno il 50% della popolazione dell’area, “è stato introdotto – spiega Giacomelli – in coerenza con gli obiettivi dei 30’ e 100 megabit di Agenda 2020 che devono essere garantiti in modo ‘effettivo’ ai cittadini. Che banda ultralarga è quella che diminuisce più aumentano i terminali connessi?”.
Rispetto poi al fatto che gli incentivi siano previsti soltanto per chi realizza infrastrutture aperte all’uso di tutti gli operatori, Giacomelli motiva la decisione col fatto che “l’aiuto di Stato ha la finalità di aprire un mercato, non un monopolio”.
Infine sul limite massimo del 50% del credito d’imposta “era già presente – precisa il sottosegretario – nel decreto licenziato dal Consiglio dei ministri”.