Tecnicamente, il siluramento dei fondi europei per la banda larga stabilito dagli stati membri nell’accordo sul bilancio Ue 2014-2020 dell’8 febbraio scorso, potrebbe ancora essere stoppato. O per lo meno contenuto. Nei fatti, si tratta di uno scenario su cui in ben pochi scommettono. Certo, l’iter di approvazione del tanto vituperato piano di spesa comunitario per i prossimi sette anni è ancora fermo a metà del guado. Prima di entrare a regime, dovrà incamerare il via libera del Parlamento europeo. Il cui voto, previsto per giugno, sembra in bilico.
Anzi, a dar retta alle dichiarazioni contese tra rabbia e costernazione dei deputati, veleggerebbe verso una solenne bocciatura. Eppure, anche qualora questa circostanza dovesse avverarsi, e non è affatto scritto nella pietra, per il comparto del piano Connecting Europe Facility consacrato alle reti digitali le campane continuerebbero molto probabilmente a suonare a morto. Difficile che gli 8 miliardi – su 9,2 previsti inizialmente per le Tlc – fatti sparire dal pacchetto europeo di aiuti infrastrutturali siano riabilitati da Strasburgo. Anzitutto perché gli umori che serpeggiano tra gli scranni dell’emiciclo comunitario tradiscono un sentimento di rassegnazione che fa a pugni con i messaggi di guerra esibiti in pubblico.
In queste settimane, i paesi membri stanno aumentando il pressing sui propri eurodeputati nazionali per debellare il fronte dissenso e così ottenere il semaforo verde all’accordo. E pare ci stiano riuscendo. Del resto, la prassi parlamentare gli verrebbe in aiuto. In tutta probabilità il voto del Parlamento sul bilancio 2014-2020 si terrà a scrutinio segreto, il che permetterebbe a molti rappresentanti di “allinearsi” all’interesse nazionale senza perdere la faccia dopo tanto abbaiare alla luna. Ma quand’anche Strasburgo restasse fedele all’annunciato “niet”, il quadro cambierebbe non di molto: non tutti i deputati europei sono convinti della bontà intrinseca degli stanziamenti Ue per la banda larga. Adina-Ioana Valean, la parlamentare rumena relatrice per il Cef, pur trovandone “deplorevoli” i tagli decisi dai capi di stato Ue, vede nel pacchetto un’occasione “per investire nei servizi digitali pan-europei ai cittadini allo scopo di spingere la domanda per il broadband”.
In controluce, significa che appoggia un accrescimento di quel miliardo di euro graziato dalla mannaia degli stati membri e destinato allo sviluppo di servizi quali l’e-invoicing e l’e-procurement. Ma non reputa una questione di vita o di morte il recupero, ancorché parziale, della parte degli investimenti direttamente assegnati ai progetti di banda larga. E come lei la pensano in molti. Sottigliezze piuttosto oziose, ad ogni buon conto. Perché il pollice verso dell’assemblea europea spianerebbe la strada all’entrata in vigore dell’esercizio provvisorio tarato sulla programmazione finanziaria precedente, con il conseguente azzeramento di tutti i grandi programmi orientati allo sviluppo, Cef incluso.
Il punto però è che, paradossalmente, proprio questo gramo epilogo potrebbe aprire inediti scenari. In Commissione europea nessuno si fa più illusioni sul destino del Cef. Neelie Kroes ha sì espresso il proprio “disappunto” ma, mettendo da parte il suo usuale mordente, ha anche evitato di attaccare frontalmente gli stati membri. Il presidente della Commissione José Barroso ha invitato i deputati europei a non ostruire il sentiero verso l’approvazione del bilancio. Dietro queste reazioni solo in apparenza arrendevoli, si cela in verità una buona dose di pragmatismo. “Inutile ingaggiare una guerriglia con i paesi membri”, spiega un alto funzionario. “Stiamo esplorando altre soluzioni alternative per recuperare almeno una parte dei fondi cassati”. La più accreditata, oltre che fattibile, dovrebbe passare per la politica di coesione. In altre parole, fanno sapere dalla Commissione, si sta lavorando a rinvigorire e allargare il capitolo per le tlc contenuto nella prossima programmazione dei fondi strutturali, che entrerà in vigore proprio nel 2014.
Il Piano Nazionale Banda Larga, lanciato dal governo italiano proprio con il contributo di una parte dei finanziamenti europei alle regioni (per un totale di circa 900 milioni di euro), è se non altro indicativo di questo approccio per “far rientrare dalla finestra” il maltolto.