Quando si tratta di lavorare per far crescere le reti banda larga italiane, tra enti pubblici e operatori si rivela un rapporto di amore-odio. Ancora non ce la fanno, davvero, a far filare le cose lisce, tra loro. Ma si vede che in cuor loro vorrebbero: ci stanno provando. E pian piano, da qualche parte, cominciano a riuscirci. Gli obiettivi, in fondo, sono due.
Primo, arrivare a un catasto unico delle infrastrutture, grazie al quale gli operatori possono scegliere di riutilizzare quelle già presenti (attive e passive) e meglio programmare gli investimenti. Peccato che ad oggi ci siano soprattutto svariati tentativi di fare un catasto, con logiche disparate e spesso contrastanti tra loro.
Secondo, procedere più spediti nei lavori di scavo e cablaggio, frenati adesso da una normativa a volte borbonica e disomogenea; altre volte, quando pure le leggi sarebbero buone, capita che vengano disattese dai soggetti coinvolti.
A quanto emerso da quest’inchiesta del Corriere delle Comunicazioni, infatti, quelli sopra citati sono i principali ostacoli sulla strada che porterebbe a facilitare la creazione di nuove reti. Sarebbe possibile favorirle a costo zero (o quasi), solo grazie a un po’ d’impegno da parte di tutti a collaborare per un progetto comune. La situazione, per certi versi, è paradossale. Sembra ormai scontato l’interesse generale a potenziare la banda larga. Interesse del mercato e del territorio; dei privati e della pubblica amministrazione. Lo dice una grande mole di studi. Per esempio, secondo Ericsson, Arthur D. Little e la Chalmers University of Technology, il raddoppio della velocità Internet aumenta il Pil dello 0,3% in una nazione industrializzata (base: dati trimestrali nel periodo 2008-2010). Ma allora perché le parti non si mettono d’accordo? Per vari motivi. Ci sono certo casi di Comuni ed enti pubblici in genere che semplicemente (ancora) non comprendono l’importanza della banda larga per l’economia del territorio. E quindi preferiscono un vantaggio immediato, anche a costo di ritardare le opere: chiedendo agli operatori oneri non giustificati o applicando alla lettera le norme (e quindi imponendo per esempio scavi tradizionali, anziché le più economiche mini trincee, solo per poi avere una strada rifatta ex novo).
Ecco quindi che l’industria chiede leggi per spingere le PA più renitenti a collaborare: per esempio, modificando le norme che allungano i tempi e i costi per scavi e cablaggi. O che danno adito a ostacoli da parte di soggetti pubblici e privati (compresi i singoli condomini che possono opporsi ai cablaggi verticali). Allo stesso modo, i ritardi della PA nello sposare il digitale rallentano anche il varo di un catasto unico. Precondizione infatti è che tutti i Comuni abbiano un catasto in formato elettronico (ma ce l’hanno solo il 5-10% di loro). A conferma: Telecom Italia riferisce di aver inviato a tutti i Comuni dei capoluoghi di provincia una richiesta di informazioni sulle infrastrutture civili presenti nei rispettivi territori; e di aver ricevuto “limitate risposte”, “sia per l’indisponibilità di tali informazioni in modo strutturato e su supporti gestibili sia per lo scarso ritorno diretto, rispetto ai costi dell’operazione, intravisto dalle amministrazioni nella fornitura dei dati”. In questo caso, l’industria chiede leggi che obblighino a condividere queste informazioni. Ma anche, aggiungono da Telecom, “un sistema di regole che disciplinino la coesistenza dei vari servizi (tubi ad uso promiscuo) e le relative attività di esercizio”. A riguardo, secondo molti l’iniziativa della Regione Lombardia con operatori Tlc, utilities e enti locali potrebbe fare da laboratorio e da esempio per arrivare a un catasto a livello nazionale.
Buona notizia: Anci e Sirti notano che i casi di resistenza al digitale, da parte delle PA, stanno diminuendo, man mano che si diffonde la consapevolezza dell’importanza della banda larga. Ma allora in prospettiva il problema principale rischia di essere un altro. Che tutte le parti abbiano le migliori intenzioni, a favore delle infrastrutture, ma non riescano comunque a trovarsi su un progetto comune, perché non si accordano su chi debba guidare la partita e con quali modelli. Le Regioni, i Comuni, gli operatori? Ci sono già casi di progetti banda larghissima tramontati per questo.
A riguardo, tanti adesso confidano in un progetto Paese che possa mettere tutti su uno stesso carro. L’Agenda digitale italiana – a cui stanno partecipando anche Asstel e Anci – sembra l’opportunità migliore per realizzarlo: “Vi includeremo misure per avviare un Catasto del sottosuolo e per rendere marginale il ruolo delle PA locali nel dare o negare autorizzazioni”, ha promesso Roberto Sambuco, capo dipartimento comunicazioni presso il Ministero allo Sviluppo Economico. L’appuntamento è entro fine estate, con il decreto DigitItalia, che darà il via all’Agenda.