A tutto gas verso la rivoluzione della rete ultraveloce. Parole d’ordine: rapidità d’attuazione delle norme e coinvolgimento dell’industria. Il Governo ha predisposto la sua roadmap per l’ultrabroadband, ma l’industria italiana non può essere semplice spettatrice. Al sistema produttivo nostrano si chiede di credere nelle potenzialità della rete e di realizzare investimenti nelle nuove tecnologie per essere più competitivo. E per non rendere vani gli sforzi di Governo e Telco.
Questo in estrema sintesi quanto emerso nella tavola rotonda “Le reti mobili per il futuro dell’Italia”, svoltasi oggi a Roma, e che ha visto i rappresentanti delle grandi multinazionali di settore e delle associazioni di categoria confrontarsi sull’argomento. In particolare si è discusso di strategie industriali, scenari di mercato e anche dello stato dell’arte del piano governativo per la banda ultralarga.
Ad aprire i lavori l’intervento di Laura di Raimondo, Direttore generale di Asstel, che ha espresso parole di apprezzamento per il decreto del Governo sulla posa della fibra. “Il provvedimento ha accolto la nostra richiesta di semplificazione e ha avuto il merito di non far disperder gli investimenti degli operatori. Ha reso più agili le norme per la posa delle fibra”, ha riconosciuto Di Raimondo. “Adesso però, ha sottolineato il Direttore generale di Asstel, “è necessario che si lavori sull’assegnazione delle frequenze mobili. In una parola: servono infrastrutture in grado di supportare le nuove tecnologie. Inoltre è necessario che l’Italia si allinei alle regole degli altri Paesi europei nell’ottica del mercato unico digitale . Questo attirerebbe maggiori investimenti nel nostro Paese”.
Meno concilianti i toni di Cesare Avenia, Presidente di Ericsson Italia, “C’è bisogno di maggiore velocità. Il decreto del governo è stato emanato a marzo del 2015 e solo adesso sono partite le prime gare. Siamo soddisfatti di quanto fato dall’Esecutivo, ma serve un’accelerazione”.
Avenia ha poi sottolineato come non abbia più senso parlare di rete fissa e mobile e che bisogna stimolare gli investimenti delle aziende nel digitale. “L’infrastruttura di rete è il cuore dell’economia del Paese. C’è bisogno di sostenere la domanda d’innovazione delle imprese, mettendo magari anche a loro disposizione incentivi e voucher governativi per la digitalizzazione”.
Secondo Luigi De Vecchis, Executive Vice Presidente di Huawei, le priorità adesso sono tre: “servono applicazioni informatiche che consentano alle imprese di potere utilizzare le grandi basi dati, una combinazione tra fisso e mobile e regole più semplici per investire. Il passaggio dalla quarta generazione di rete alla quarta generazione e mezzo e poi alla quinta deve avvenire senza soluzione di continuità, attraverso la software upgrade”.
Parla invece dell’urgenza di adottare un nuovo modello di business Massimo Fatato, Vp Telco Vertical Emea di Red Hat, “Gli operatori Telco devono essere messi in condizione di offrire servizi in maniera agile e rapida. In questo contesto di mercato è importante fare proprio un modello di business aperto, con una sempre più fluida collaborazione tra vendor, provider e industria”.
Chi invece picchia duro sulle industrie italiane è Stefano Pileri, amministratore delegato di Italtel, “da adesso al 2018 sono stati messi sul piatto oltre 10 miliardi di euro per lo sviluppo della banda ultralarga. Ma l’industria è pronta investire? La risposta è no purtroppo. Oggi la rete ultrabroadband copre oltre il 45% della popolazione, ma ad adottarla è solo il 7 e 8%. La velocità di adozione è quindi totalmente insoddisfacente. Gli operatori Telco hanno più di una motivazione per traghettare tutti sull’architettura ultrabroadband perché migliora le performance di collegamento e genera un risparmio energetico importante”.
Secondo Pileri c’è bisogno di più audacia. “Serve più creatività nei servizi da proporre perché le nuove reti ce lo consentono”. Quanto ai bandi Infratel, “va data priorità agli interventi sulle imprese, in modo tale che queste possano prendere parte alla quarta rivoluzione industriale, connettendo le fabbriche con gli headquarters.
Non dimentichiamo che in Lombardia il 77% delle aziende medie ha sede nelle aree a fallimento di mercato”, ha sottolineato Pileri.